L'ULTIMO FILANTROPO Emmanuele Emanuele
Il Mediterraneo è cuore, casa, orizzonte, spazio, un’idea, un sogno, una ragione di vita. Emmanuele Emanuele non ha mai smesso di rincorrere e ritrovare questo grande mare, come una madre, come qualcosa di antico e di vero. Il Mediterraneo è il senso e l’approdo di tutte le sue metamorfosi, tutte le sue sfide: l’economista, il banchiere, il professore universitario, l’avvocato in Cassazione, il mago della finanza, il saggista, il poeta, il filantropo, l’umanista. La scommessa non è mai cambiata: la cultura è la leva che ribalta il mondo. Non ha mai smesso di crederci, come uomo, come individuo, come presidente della Fondazione Roma e della Fondazione Terzo Pilastro Italia e Mediterraneo. Cos’è per lei la cultura? «L’arte e la cultura sono gli strumenti con cui mi sono salvato l’anima nel corso degli anni, qualcosa di indispensabile nella vita di tutti i giorni, senza la quale non si è padroni del proprio destino. Vede dove siamo adesso? Questo è il Museo della Fondazione Roma, e qui a Palazzo Sciarra ho radunato in venti anni opere d’arte dal ’400 fino ad oggi. In Italia non c’è un museo con una connotazione così ampia. Esso è unico anche perché ho voluto informatizzarlo. Ogni singola opera è raccontata nel dettaglio, i visitatori possono capire la sua genesi, cosa intendevano comunicare il committente e l’artista, conoscere il contesto storico in cui è stata realizzata, guardare l’opera da ogni angolo, tutto attraverso de touch screen posti nelle sale espositive. Qui di fronte, invece, c’è Palazzo Cipolla, dove abbiamo allestito molte ed importanti mostre, 52 per l’esattezza a Roma, ma se contiamo quelle alle quali abbiamo concorso alla realizzazione in altre città si arriva ad un totale di 75 mostre in 20 anni. Ma non ci siamo fermati a questo. Nel campo musicale, dopo aver dato vita nel 2002 e sostenuto in via esclusiva l’Orchestra sinfonica di Roma, composta da tutti giovani, e che tante soddisfazioni ci ha riservato, facendosi apprezzare nel mondo attraverso le numerose tournée, abbiamo deciso di sostenere l’Orchestra di Piazza Vittorio, gruppo di artisti provenienti da tutto il mondo ed ormai noti e apprezzati dappertutto. E non è ancora finita, poiché dal 2007, su mio preciso e diretto impulso, la Fondazione organizza un’intera giornata dedicata alla poesia,la manifestazione annuale “Ritratti di poesia”, in cui autori, nazionali e internazionali, giovani promesse, attori e musicisti, si incontrano in un originale connubio di letture, idee, suoni e voci. Inoltre, dopo aver portato a termine, con la mia supervisione, il restauro sia di Palazzo Sciarra, compresi i resti dell’Acquedotto Vergine, che di Palazzo Cipolla, la Fondazione ha contribuito al restauro conservativo di numerose chiese di Roma, ma anche del Lazio, ed in Abruzzo, a l’Aquila, con il rifacimento completo della Basilica di San Giuseppe Artigiano, distrutta dal terremoto del 2009». Qualcuno le avrà detto che con la cultura non si mangia. «È un discorso da stolti. È l’unica possibilità che abbiamo per opporci alla crisi che ci accompagna da trent’anni. Si guardi intorno. Non abbiamo più un’industria, né pubblica né privata, le banche sono quasi tutte in mano straniera, l’agricoltura è abbandonata da almeno quarant’anni, il made in Italy sta sparendo, chiudono i negozi e le tradizioni si perdono perché Amazon non lascia spazio. La bellezza è l’unica leva che abbiamo in Italia per creare ancora ricchezza, ed è quella che io chiamo “energia pulita”, perché non mi piace il petrolio che inquina». Una ricchezza in mano alle fondazioni bancarie? «Non cada in certi pregiudizi. Io potevo essere un banchiere e, invece, ho preferito essere un filantropo. Il ruolo delle fondazioni bancarie, in Italia, è stato rilevante grazie all’intuizione di quell’uomo geniale che è Giuliano Amato. Le casse di risparmio avevano due anime: una economica e l’altra sociale. Amato, nel momento in cui si apriva la grande stagione dell’Europa e della competizione internazionale con l’arrivo in massa delle banche straniere, pensò di separare queste due anime che avevano una convivenza centenaria». Con quale obiettivo? «L’anima bancaria doveva rafforzarsi con le fusioni e fronteggiare l’offensiva delle banche straniere, mentre quella filantropica doveva affrontare la crisi del welfare. Il vecchio modello di stato sociale non stava funzionando più, per cui le fondazioni ex bancarie potevano svolgere un ruolo importante in chiave sussidiaria, nel rispetto dell’art. 118 della Costituzione secondo il quale, detto in termini semplici, laddove lo Stato non arriva, può intervenire il privato, for profit o no profit. Allo Stato resta il compito di dettare le linee guida e di controllare e verificare il corretto operato dei privati, non di ostacolarli come sta avvenendo da troppo tempo, rendendo lettera morta la norma costituzionale, peraltro debole, perché priva della previsione di una sanzione per chi non ottempera. Di fronte a tutto questo, io penso di aver interpretato al meglio lo spirito della norma Amato, come da lui stesso pubblicamente riconosciuto, dicendo, anzi, che sono stato l’unico, e di avere fatto ciò che la legge prevede, mentre le altre fondazioni non l’hanno fatto». In che senso? «Ho sempre sostenuto la tesi che le Fondazioni dovevano progressivamente rendersi autonome dalla politica, aprirsi alla società civile e soprattutto separarsi dalle banche, dismettendo la partecipazione, diversificando l’investimento e massimizzando il rendimento, da destinare a fornire risposte ai bisogni delle persone. Sono stato l’unico, credo. Le fondazioni che hanno voluto rimanere nel capitale delle banche ed entrare, successivamente, nella Cassa depositi e prestiti,invece, sono tutte in una crisi irreversibile». È stata una scelta lungimirante… «Sì, ma anche dolorosa. Siamo usciti in dissenso dall’Acri e non abbiamo sottoscritto l’accordo con il MEF, che prima era il Ministero del Tesoro, con cui combatto da sempre in difesa della legge Amato e dei suoi principi fondanti. Ho lottato contro le norme di Ciampi, Dini, Visco, Tremonti, contro tutti i legislatori che a vario titolo ritenevano di distorcere lo spirito di quella legge, e soprattutto contrastare la natura privata di queste istituzioni. Devo confessare che, oltre a queste vicende, che ho anticipato, mi è capitato spesso di essere profeta su molte cose, e, come si dice comunemente,il destino dei profeti è quello di rimanere isolati ed inascoltati.Nel 1964 ho previsto il disastro dell’industrializzazione forzata del Mezzogiorno (vedasi com’è finita a Gioia Tauro, Termini Imerese, Priolo); nel 1978 ho anticipato le gravi lacune del progetto di unificazione europea e successivamente dell’euro; per primo ho dato ribalta pubblica alla Big Society nel 2010, che allora il governo Cameron stava avviando e che sostenevo che da noi si poteva fare di più e meglio, perché bisognava dare finalmente attuazione all’art. 118 della Costituzione; da sempre, inoltre, mi batto contro la burocrazia pervasiva, immobilizzante ed irresponsabile, da ultimo in occasione proprio della realizzazione del Villaggio per i malati di Alzheimer». Dove nasce la sua filantropia? «Ho avuto il privilegio di avere una grande famiglia. Mio padre era un medico, un uomo che è stato definito “il medico della povera gente” perché, pur essendo nato da una famiglia aristocratica, ha sempre ritenuto che fosse indispensabile aiutare gli altri. Mia madre, a sua volta, era una donna di grandissimo spessore culturale e di grande sensibilità artistica». Lei da dove ha cominciato? «Dopo avere per lunghi anni fatto il professore, l’avvocato, l’amministratore di aziende, avendo avuto un discreto successo, ho pensato che dovessi adoperarmi per restituire il molto che la vita mi aveva dato ed ho individuato nella Fondazione il mezzo più adeguato per farlo. E da Vice Presidente prima della Cassa di Risparmio di Roma, poi da Presidente della Fondazione Roma, ho cominciato dalla salute, il vero grande problema dell’Italia, poiché la sanità pubblica è in grave difficoltà. Non potendo risolvere da solo le lacune del sistema, mi sono concentrato su alcune patologie cui lo Stato non dà risposte. Per prima cosa ho contribuito, ideandolo, a realizzare un Hospice per malati terminali,che assisteva domiciliarmente anche malati di SLA e di Alzheimer. Per questi ultimi, dopo aver visto le precarie ed indegne condizioni in cui spesso vengono assistiti nelle strutture dedicate, ho iniziato a viaggiare per cercare soluzioni alternative. Nasce così il Villaggio Emanuele di Roma, che ricalca il modello del Villaggio di Hogewey, in Olanda. Qui le persone affette da Alzheimer hanno la possibilità di vivere in un ambiente che richiama il calore domestico, in libertà, con diverse opportunità ricreative, assicurando un’alta qualità della vita, nonché l’assistenza ed i controlli necessari. Abbiamo contribuito a potenziare la Biogem, un centro di biologia e genetica molecolare, dove si studia il tumore attraverso la personalizzazione della cellula. Creato l’Emanuele Cancer Research di Malta dove pratichiamo le terapie più avanzate per la cura del cancro. Sempre nella sanità, abbiamo fatto interventi ripetuti ed a tappeto a favore delle singole AASSLL e dei maggiori ospedali pubblici del territorio per dotarli di attrezzature diagnostiche e terapeutiche tecnologicamente avanzate (San Giovanni Addolorata, acquisto del sistema robotico “Da Vinci”; Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, installazione presso il MARLab di Santa Marinella di dispositivi robotici per la riabilitazione degli arti dei bambini affetti da patologie del sistema nervoso e muscolo-scheletrico; Policlinico Gemelli,nuova terapia intensiva di Cardiochirurgia/Cardiologia e realizzazione del CEMAD, Centro per le malattie dell’apparato digerente; Ospedale Fatebenefratelli, potenziamento dell’U.O. Diagnostica per Immagini e ammodernamento del Centro di Radioterapia Oncologica; Policlinico Umberto I, realizzazione del progetto “Heart Navigator”; San Camillo Forlanini, riorganizzazione della UOC di Neonatologia) e abbiamo donato un apparecchio per la risonanza magnetica all’Istituto di Medicina dello Sport del CONI. Questi sono solo alcuni fra i tanti interventi realizzati. Nella ricerca scientifica in campo biomedico, altro settore che ho ritenuto assolutamente prioritario, abbiamo sostenuto la Fondazione Bietti, centro di eccellenza nella ricerca e nella terapia in campo oftalmologico; i maggiori centri di ricerca con le calls for proposals; sostenuto il MEBIC (Medical and Experimental BioimagingCenter), che si prefigge di studiare la forma delle cellule, gli effetti tossici dei farmaci e l’interazione tra molecole; a favore dell’applicazione della robotica in campo diagnostico e terapeutico, abbiamo sostenuto il progetto TEEP SLA, che si pone l’obiettivo di realizzare strumenti per facilitare la comunicazione e le emozioni dei pazienti affetti da questa terribile patologia». Queste sono solo alcune delle innumerevoli attività della Fondazione… «La mia sensibilità particolare mi ha portato ad aiutare i popoli perseguitati. Abbiamo ricordato la tragedia della Shoah nel Giorno della Memoria nel 2006 e sostenuto i viaggi degli studenti romani ad Auschwitz e nei luoghi delle Foibe; nell’anniversario del genocidio del popolo armeno, abbiamo realizzato una pièce teatrale “Pietre Urlanti”; abbiamo fatto diverse iniziative per ricordare l’esodo degli Istriano-Dalmati ed uno spettacolo sui nativi americani “Ascolta il canto del vento”. Siamo venuti incontro alle esigenze degli ultimi, istituendo lo “Sportello della Solidarietà”, attraverso il quale è possibile sostenere fino a 50.000 euro progetti nel campo proposti dalle associazioni della società civile, ma anche sostenendo con più e diversi interventi negli anni il Centro Italiano di Solidarietà di Roma, fondato da Don Mario Picchi per recuperare giovani incappati nella dipendenza dalle droghe. Nel campo dell’istruzione, poi, ho creato sei master post universitari: per “Esperti in Politica e Relazioni Internazionali”; uno per formare managere professionisti qualificati nell’ambito della gestione delle risorse artistiche e culturali; uno in “Lingue e Culture Orientali” dove si studiano l'arabo e il cinese che sono le lingue emergenti; avviato il progetto Mediterraneo con la LUISS destinato a studenti bisognosi dell’area mediterranea, con l’obiettivo di farli rientrare nei Paesi di origine, per offrire le competenze acquisite al servizio dello sviluppo economico e sociale in detti Paesi; infine, un Master in “Globalisation, Governance and International Understanding” per studiare gli effetti della globalizzazione nel lungo periodo». Il welfare di questo governo è invece il reddito di cittadinanza. «La realtà è che quando lo Stato non c’è più non può neppure esserci welfare. Quando il welfare è affidato a persone che non hanno mai lavorato, è inevitabile che lo Stato abbia una filosofia aggressiva verso il privato che produce ricchezza. Non si vuole capire che solo chi produce ricchezza può creare le condizioni migliori per sviluppare posti di lavoro, servizi e benessere delle famiglie. Il reddito di cittadinanza non è vero welfare:è milioni di euro a gente che, teoricamente, al terzo rifiuto di un lavoro perde il sussidio. Ma in queste condizioni, soprattutto al Sud, chi offre lavoro?». Ancora la questione meridionale. «Da quando ero bambino sento parlare del Sud e delle politiche per il suo rilancio, non è accaduto nulla. È per questo che ho creato la Fondazione Terzo Pilastro Italia e Mediterraneo, con sede a Napoli, Cosenza, Palermo, Catania, Malta, Madrid, Rabat. Abbiamo fatto cose che l’Italia, l’Europa e l’Onu non fanno. Grazie ad essa, ho potuto concentrare attenzione, idee, progetti concreti per il Mediterraneo, onde recuperare la sua centralità geopolitica, proprio a dispetto dell’insipienza di tante altre istituzioni pubbliche e private». Perché ha tanta fiducia nel Mediterraneo? «Perché sono mediterraneo e perché è il cuore di tutto. Faccio lo stesso ragionamento di Federico II, che non volle essere imperatore del Sacro Romano Impero, né re di Germania, ma re di Sicilia e fece convivere tutte quante le popolazioni di qualunque etnia in pace. Potrebbe diventare, la Sicilia, la Bruxelles del Mediterraneo, luogo dove tutto è nato. Religioni, filosofia, arte, politica. Dobbiamo smettere diconsiderare i migranti come degli invasori, dobbiamo educarli, migliorare le condizioni di vita nei loro paesi d’origine, consentire che rinasca quella civiltà e non che vengano a fare i venditori di droghe o altro nelle strade romane. Questo è il mio sogno, e questo si può fare e si deve fare».