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La minaccia ai musicisti: "Dovete suonare il Padrino"

Il "re" aveva rapporti con politici e Vaticano

Valeria Di Corrado
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"Qui si fa come dico io. Dovete suonare il Padrino". Era stato lasciato poco spazio all'estro artistico della banda funebre che il 20 agosto 2015 aveva accompagnato le esequie di Vittorio Casamonica nella chiesa Don Bosco di Roma, "punto di riferimento" del clan. Come ha precisato l'ex moglie di Massimiliano Casamonica, la famiglia aveva "rapporti particolarmente stretti con alcuni preti di quella parrocchia, i quali frequentavano abitualmente varie abitazioni di vicolo di Porta Furba". Tre dei quindi musicisti che componevano il gruppo sono stati ascoltati dai carabinieri come persone informate sui fatti. Le loro dichiarazioni "danno conto del clima di intimidazione – si legge nell'ordinanza di arresto – nel quale la banda musicale aveva dovuto suonare, peraltro senza percepire alcun compenso (neanche a titolo di rimborso spese): i musicisti erano stati costretti a eseguire una serie di brani richiesti dai parenti del defunto, fra i quali la colonna sonora del film 'Il Padrino', inequivocabilmente evocativa della caratura mafiosa del defunto". "Ricordo molto bene che, prima che cominciassimo a suonare, è venuto verso di noi un uomo dell'età di 40-50 anni, dall'aspetto che sembrava di origine zingara – ha raccontato uno dei musicisti – Rivolgendosi a tutti noi lì presenti, con fare prepotente, ha detto: 'Dovete suonare il padrino'. Noi non abbiamo accolto questa richiesta, dicendo che avremmo preferito marce funebri, ma egli ha risposto: 'Qui si fa come dico io, dovete suonare il padrino!'. L'atteggiamento dell'uomo e la presenza di tanta altra gente della sua famiglia lì intorno ci ha portato a eseguire quanto richiesto". "Ci sentivamo soli in una mareggiata, in forte soggezione", ha confermato un carabiniere in pensione, che faceva parte della banda. "Non è stata esplicitata alcuna minaccia – ha precisato un'altra musicista – Era evidente l'intenzione di quelle persone". Tutti e tre, infatti, hanno "concordemente affermato di aver percepito che, se non avessero assecondato i desiderata dei Casamonica, avrebbero seriamente rischiato ripercussioni fisiche", spiega il gip. Il funerale in questione, poi, non era di un componente qualsiasi della famiglia, ma del capostipite. Vittorio viene descritto da alcuni testimoni come "un pezzo da novanta a livello di... di tutto! A livello di forze dell'ordine, di Vaticano, di... Lui entrava dappertutto. Lui, qualsiasi cosa gli serviva, riusciva a entrare dappertutto". Non gli mancavano nemmeno le "amicizie politiche". "Il boss, lo chiamano. Il capo. Anzi, una volta se ne è uscito e ha detto: per noi è un re, Vittorio è un re (...) Cioè, quando Vittorio era in vita, da quello che ho capito e spiegato... quello è. Cioè, dice A, è A. È come se si alza... come si chiamava quello di Rosarno, il capo di tutta la 'Ndrangheta? (...) Domenico Oppedisano". L'esistenza di rapporti "stabili e risalenti" tra Vittorio Casamonica e la Banda della Magliana, è confermata dal decreto di confisca del 15 novembre 1996. Gli atti di quel procedimento giudiziario (acquisito all'indagine attuale) dimostrano che Vittorio, Enrico, Luciano, Antonino e Guerrino Casamonica, esponenti dell'omonimo clan, pluripregiudicati, erano collegati a Enrico Nicoletti, "costituendo il gruppo di pressione che terrorizzava le vittime dell'attività di usuraio ed estorsore" dell'ex cassiere della Banda della Magliana.

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