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"Non me devi sveglià". Guai per l'ultrà giallorosso detenuto De Santis

Daniele De Santis

Minaccia un agente nel carcere dove si trova per aver ucciso Ciro Esposito e va ancora a giudizio

Enrico Lupino
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Ancora guai giudiziari per l'ultras giallorosso Daniele De Santis. Stavolta sulle spalle del condannato in Appello a 16 anni di reclusione per l'omicidio del tifoso napoletano Ciro Esposito grava un'accusa di minaccia a pubblico ufficiale avvenuta, secondo la procura, all'interno del carcere di Regina Coeli. L'episodio, ora arrivato a giudizio presso le aule del Tribunale monocratico di piazzale Clodio, risale al 2015 quando durante la routinaria conta dei detenuti l'imputato avrebbe dato in escandescenze all'indirizzo di due agenti della Penitenziaria.  “Tu non me devi sveglià” è una delle frasi che avrebbe riferito De Santis, minacciosamente secondo i pm, a uno dei due agenti. “Aprimi sta cella – riporta l'accusa – che te faccio vedè io cosa te combino” sarebbe stata l'altra promessa fatta all'ispettore. Poi la minaccia più diretta: “se stavo ai reparti – si legge nell'imputazione – già t'avevo fatto vedé io”.  A difendere De Santis sarà l'avvocato Tommaso Politi che, sentito da Il Tempo, sottolinea: “sentiremo i testi e accerteremo quanto avvenuto”. Il legale tuttavia ricorda come il suo assistito si trovasse ancora immobile a letto in seguito a quegli scontri del maggio del 2014, e quindi non in grado di dare seguito alle minacce contestate dagli inquirenti. Un fatto questo che ne sminuirebbe la portata a giudizio dell'avvocato. Il processo attende ora una nuova fissazione dell'udienza, visto l'incorrere di un vizio di notifica. I fatti che portarono alla morte di Ciro Esposito portano la data del 3 maggio 2014, quando allo stadio Olimpico di Roma si attendeva ancora il fischio d'inizio della finale di Coppa Italia che vedeva contrapposte Napoli e Fiorentina. Un autobus di tifosi napoletani fu preso di mira da altri ultras. Da lì si accese uno scontro in cui il tifoso partenopeo poco più che 30enne fu ferito a colpi di armi da fuoco dall'ex ultras in viale Tor di Quinto. Morì dopo 53 giorni di agonia al Policlinico Gemelli. La vicenda giudiziaria, che insanguinò la finale di Coppa Italia aveva portato alla condanna in primo grado dell'ex ultras giallorosso a 26 anni di carcere, poi diminuiti di dieci in seguito alla decisione dell'Appello. A sedere sul banco degli imputati, insieme all'ex ultras della Roma, furono Alfonso Esposito e Gennaro Fioretti, giudicati prima colpevoli in primo grado di rissa aggravata e lesioni, condannati entrambi a otto mesi di reclusione dal Tribunale della Capitale, ma poi assolti dai giudici dell'Appello. Al processo furono ascoltate le deposizioni del tenente colonnello del Ris, Paolo Fratini, che fu incaricato di redigere una perizia sulla dinamica dello scontro fra gli ultras, dell'ispettore del commissariato Flaminio Nuovo, Franco Fratini, che era in servizio  sul posto dove le violenze ebbero luogo, e di Salvatore Ferrante e Aquilino Palma, entrambi tifosi presenti sul pullman oggetto dell'aggressione da cui scaturì lo scontro fatale per Esposito.  A comporre la Corte del secondo grado presieduta da Andrea Calabria fu Giancarlo De Cataldo, giudice a latere noto, oltre che per le sua attività nelle aule di tribunale, per i libri di successo usciti dalla sua penna.

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