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Aids, l'untore romano si difende: non sono un mostro, su di me solo falsità

Riccardo Di Vanna
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“Non sono un mostro, su di me sono state dette tante falsità”. Si è difeso così, davanti ai giudici della Corte d'Assise di Roma, Valentino T., il trentenne finito a processo per aver avuto rapporti sessuali non protetti con decine di donne, pur essendo consapevole di essere sieropositivo. Il giovane, accusato di epidemia dolosa e lesioni gravissime, ha preso la parola, questa mattina, per rendere spontanee dichiarazioni. Visibilmente emozionato, l'imputato ha voluto fornire alcune precisazioni alla Corte, soffermandosi anche sul peso che l'informazione potrebbe aver avuto sul suo caso. “Sono Valentino, una persona – ha detto il ragazzo, subito dopo aver preso la parola al microfono - Vorrei sottolineare che sono una persona, perché tante volte questa cosa non è stata sottolineata e mi è stato dato dell'untore. Sono un ragazzo con un cuore, affetto dall'Hiv, non sono diverso da tutte le altre persone qui presenti”. Con la testa china su un foglio sul quale ha appuntato i propri pensieri, Valentino ha parlato per una manciata di minuti, insistendo in diversi passaggi sul fatto di non aver mai tentato di celare la propria identità alle vittime e di non avere avuto alcuna intenzione di nuocere alle sue partner. “In questi due anni - ha spiegato l'imputato - sono state dette cose non vere, sono stato descritto come un mostro. Non sono una persona cattiva, tale da fare male agli altri. In realtà non mi sono mai nascosto e tutte le ragazze mi conoscono con il mio nome e conoscono anche i miei amici. Si è detto che avrei voluto contagiare più persone possibili ma se così fosse avrei cercato rapporti occasionali nei locali, tentando di mantenere l'anonimato”. Riguardo alle presunte inesattezze riportate sul suo conto, Valentino ha bollato come menzogna la circostanza secondo la quale avrebbe rifiutato di assumere la terapia antiretrovirale. Presunta notizia che sarebbe stata smentita in aula, nel corso del dibattimento. “Penso che non sia giusto dare false notizie per occupare le prime pagine e creare un caso, il mio caso - ha aggiunto - Non credo che i mass media possano influire sul processo ma certamente hanno il loro peso”. Con la voce rotta dal pianto, il trentenne ha poi concluso: “Questi sono stati anni terribili e non augurerei una cosa simili nemmeno al mio peggior nemico. Ho vissuto il trauma di sapere che persone che conosco hanno la mia stessa patologia e pensano che sia per colpa mia”.

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