Stupro Termini, il racconto della vittima:m'ha portata lontano dalle telecamere
Il bengalese sapeva come muoversi. L'arrestato prova a difendersi: "Era consenziente". Ma il Gip non gli crede
«Fino alla fine della strada del locale, dove avevamo lasciato la mia amica, quel ragazzo incontrato all'uscita si è comportato in maniera normalissima. Abbiamo camminato uno accanto all'altro, scambiato qualche parola. Mi aveva detto che la macchina con cui mi avrebbe riportato a casa era appena dietro l'angolo, ma quando abbiamo svoltato lui ha afferrato un sampietrino e mi ha detto che se non l'avessi baciato me lo avrebbe spaccato in testa». Nuovi particolari emergono dal racconto fatto dalla studentessa finlandese agli agenti del commissariato Viminale. Più di due ore passate a rivivere quell'incubo, tra le lacrime, i singhiozzi e i dolori lancinanti nel letto del Policlinico Umberto I dove è stata medicata e tenuta in osservazione. I segni più evidenti, oltre a quelli che si porterà per sempre dentro, li ha nelle parti intime dove due ematomi testimonierebbero più di ogni parola la penetrazione inutilmente scongiurata. Saddam Khan, il bengalese in Italia con un permesso umanitario che la notte tra venerdì e sabato avrebbe minacciato, picchiato e stuprato la ventenne da pochi mesi a Roma come ragazza alla pari, sarebbe stato talmente attento alle telecamere di videosorveglianza di via Palestro da aspettare di raggiungere un punto particolarmente buio per mettere a segno il suo piano. «Mi ha minacciato appena dietro a una pompa di benzina, non c'era luce, non passava nessuno. Quando i due signori mi hanno sentita gridare "Call the police, call the police", gli hanno gridato di fermarsi, ma lui mi ha portata poco più avanti, mi ha buttata a terra e lì...», si interrompe per il pianto che più volte la sorprende. I capelli rossi, la carnagione chiarissima, venerdì sera al Yellow bar era andata vestita con un paio di pantaloni neri larghi, una maglia arancione per niente attillata e niente, niente che potesse apparire "provocante" agli occhi di quello che sarebbe diventato poi il suo aggressore. «Quando ha finito ed è scappato con i soldi - aggiunge - ho cercato di tirarmi su e ho camminato fino al locale, sperando di vedere la mia amica. Adesso mi fa male tutto - dice ai poliziotti accanto a lei -, tutto». Intanto, davanti al gip, il giovane bengalese si è difeso prendendo le distanze dall'accusa che gli viene rivolta. «Non ho violentato nessuno», ha spiegato il ventiduenne, ascoltato ieri mattina nel carcere di Regina Coeli. «Ho avuto un rapporto sessuale con quella ragazza – ha aggiunto – ma lei era consenziente». Una versione che evidentemente non è bastata al migrante per riguadagnare la libertà. Per lui, dopo la convalida del fermo, il magistrato ha disposto la misura cautelare degli arresti in carcere. A carico del ragazzo, che in un primo momento, di fronte agli inquirenti, aveva negato ogni circostanza limitandosi a dire di non essere «quello che cercavano», sono numerosi gli elementi che sembrano invece indicare il suo pieno coinvolgimento nella vicenda. Il primo di questi è il racconto della vittima, arrivata nella Capitale solamente da pochi giorni. La ventenne finlandese che ha ricostruito l'accaduto e ha riconosciuto il suo aggressore è stata infatti in grado di indicare con esattezza persino il punto in cui l'uomo ha lasciato cadere la pietra con cui l'avrebbe colpita al petto, sulla schiena e su un braccio, e che è stata rinvenuta effettivamente nel punto indicato. Ma oltre ai ricordi della giovane ci sono anche i racconti di diversi testimoni. Persone del quartiere che hanno sentito urla provenire dalla strada, come nel caso della signora che ha avvertito le forze dell'ordine, o avventori di bar della zona che avrebbero visto la turista chiedere aiuto, disperata, subito dopo lo stupro. Non solo. Le telecamere di videosorveglianza all'esterno dello Yellow bar lo avrebbero immortalato mentre entrava e usciva nel locale. La sua presenza, quella sera, all'interno del club di via Palestro, sarebbe stata confermata anche da una serie di foto trovate dagli inquirente sui social network.