DISASTRO CAPITALE
Marino poteva non sapere Ecco perché l'ex sindaco è stato assolto per lo scontrino-gate
«Un sistema organizzativo improntato, soprattutto nella prima fase, a imprecisione e superficialità». Non sono parole tenere quelle che i giudici di piazzale Clodio mettono nero su bianco. Specialmente se le stesse sono rivolte a chi, fino a qualche mese fa, doveva amministrare una Capitale sull’orlo di una crisi di nervi: Ignazio Marino. Ad ogni modo, trascorsi tre mesi dall’assoluzione dell’ex sindaco, il giudice Pierluigi Balestrieri motiva la sua decisione: «Appare evidente che eventuali errori, imprecisioni e discrasie afferenti alle dichiarazioni giustificative non sono suscettibili di rivestire alcuna rilevanza penale». Insomma Marino non ha commesso reati, ma il suo staff è stato impreciso e superficiale. È questa la conclusione alla quale è arrivato il magistrato in relazione allo scandalo sugli scontrini, ovvero in merito a quelle 56 cene che, secondo l’accusa, erano state pagate con la carta di credito del comune di Roma nonostante non si trattasse di incontri istituzionali. Effettivamente, nella vicenda che ha portato alle dimissioni di Marino, qualche incongruenza è stata riscontrata. Perché non sempre quanto giustificato dall'ex sindaco corrispondeva al vero. Ma, secondo il giudice, bisogna tenere «conto del modello ricostruttivo adottato dallo staff del Marino - si legge negli atti - in vista della predisposizione dei giustificativi relativi alle cene da questi offerte con la carta di credito». Il dito è dunque stato puntato contro un «modello ispirato ad approssimazione e intempestività». «Approssimazione»: perché «le relative occorrenze - scrive il giudice - erano state per lo più genericamente desunte dalla disamina dell’agenda istituzionale del primo cittadino». «In- tempestività»: «posto che, specialmente nel primo periodo - si legge nelle motivazioni - i giustificativi erano stati formati a distanza di mesi rispetto a tali occorrenze». Insomma furono commessi errori, ma non vi sono le prove che dimostrino «la finalità eventualmente privatistica perseguita dal medesimo (Ignazio Marino, ndr)». Ed ecco svelato il mistero: lo scontrino-gate fu causato, secondo il magistrato, da giustificativi che, formati in ritardo, erano stati abbinati dallo staff dell’allora sindaco agli impegni riportati nell'agenda di Marino. E quindi anche se imprecisioni vi furono, risulta impossibile «desumere l'evidenza di una spesa compiuta per fini non istituzionali». Del resto le cene finite nel mirino della procura, «avevano superato il vaglio dell'Ufficio del Cerimoniale, della Ragioneria Generale e, indirettamente, quello della Corte dei conti, la quale non aveva svolto in proposito rilievi di sorta». Per questo motivo Marino sarebbe «assolutamente estraneo» alle accuse di falso e peculato mosse dalla procura di Roma. Per i pm infatti, l’imputato avrebbe «impartito al personale addetto alla sua Segreteria una serie di disposizioni affinché formasse le dichiarazioni giustificative delle spese inserendovi indicazioni non veridiche». Il giudice ha dunque respinto le accuse ritenendo che «l’intero procedimento di contabilizzazione delle spese di rappresentanza è stato gestito dallo staff di Marino, senza che questi ne avesse specifica contezza». Il 7 ottobre, il Marziano è stato assolto per ben due volte. Infatti è caduta anche l’accusa di truffa relativa all’organizzazione non lucrativa di utilità sociale di cui Marino era presidente: la onlus «Imagine». Secondo l'accusa infatti Marino avrebbe «stipulato, nella sua qualità di rappresentante legale della onlus, contratti di collaborazione occasionale con soggetti inesistenti» e per aver predisposto «certificazioni di compensi relativi alle prestazioni dei suddetti collaboratori fittizi». Ma anche da queste accuse l'ex sindaco è stato assolto in quanto, secondo il giudice, le prove raccolte «non solo non consentono di ritenere attinta l’indubitabile prova della consapevolezza del Marino in merito all'inesistenza» dei due collaboratori "fantasma" a cui erano stati stipulati altrettanti contratti, «ma siano - scrive il magistrato - senz'altro tali da indurre ragionevolmente a escludere che questi (Marino, ndr) ne fosse stato in qualsivoglia modo reso edotto». Ancora: «Non sembra dunque consentito inferire, da tale circostanza, una consapevolezza, in capo al Marino». E così, le accuse della procura vengono smontate davanti al «sindaco inconsapevole». «La lettura delle motivazioni depositate dal gup di Roma, Pierluigi Balestrieri, ha confermato - dichiarano i legali, Franco Moretti e il Professor Enzo Musco - quanto da noi sostenuto sin dall’inizio e cioè che il professor Marino non ha mai utilizzato risorse pubbliche per finalità private, ma semmai più volte si è verificato il contrario. L'onestà di Marino - hanno concluso i suoi difensori - è stata dimostrata con abbondanza di argomenti e siamo pertanto pienamente soddisfatti».