Benvenuti a Rebibbia, il carcere più pazzo del mondo
Per ben nove giorni il carcere di Rebibbia è rimasto isolato dal mondo. Dallo scorso 6 novembre, fino a ieri, non hanno funzionato le linee telefoniche all'interno del più grande penitenziario di Roma. È stato impossibile per i magistrati notificare tramite fax ai detenuti del nuovo complesso provvedimenti di scarcerazione, avvisi di conclusione delle indagini preliminari e atti di qualsiasi altra natura. Allo stesso modo gli avvocati non hanno potuto mettersi in contatto telefonicamente con i loro assistiti, visto che persino il centralino risultava irraggiungibile. E tutto questo perché? Per le forti e violente precipitazioni atmosferiche che hanno colpito due domeniche fa la Capitale. A causa della "bomba d'acqua" (quindi non di una vera bomba) è saltata infatti la centralina telefonica del penitenziario di via Bartolo Longo. Solo nella giornata di ieri i tecnici sono riusciti a ripristinarla. Per la stessa ragione è stato difficile contattare la nuova direttrice del carcere, Rosella Santoro, che ha preso il posto del suo predecessore Mauro Mariani, in malattia dal giorno in cui c'è stata l'evasione di tre detenuti. Ma i problemi a Rebibbia non finiscono qui. Due anni fa nel carcere romano fu installato, per due milioni di euro, un sofisticato sistema di allarme con videosorveglianza a fotocellule. Qualche mese dopo però, data la sensibilità del sistema (l'allarme scattava di continuo anche per il volo di un uccello), fu disinstallato. Anche l'attuale sistema presenta limiti evidenti. Nell'ultima evasione, infatti l'allarme, a detta degli agenti, non si sarebbe attivato. Quindi nessuna elemento avrebbe consentito ai poliziotti del penitenziario di focalizzare la loro attenzione sul monitor che ritraeva i tre fuggitivi mentre scavallavano i muri di cinta con delle lenzuola. Un'altra ipotesi, altrettanto preoccupante, potrebbe essere quella di un blackout. È una situazione ormai allo sbando - ammonisce Donato Capece, segretario generale del sindacato di Polizia penitenziaria Sappe - Qualcuno si deve domandare: ma il carcere di Rebibbia dove lo vogliamo portare? Perché se vogliamo trasformarlo in un collegio, a quel punto non c'è più bisogno di poliziotti. Una delle cose più insopportabili è questo finto perbenismo: sembra che siano tutti bravi ragazzi, invece si tratta di persone che si trovano in carcere perché sono ladri, stupratori, assassini, terroristi». «Il vero problema è l'incapacità dei dirigenti di questa amministrazione che hanno perso il timone nella gestone delle carceri. Qualcuno al Dap - prosegue Capece - dovrebbe farsi l'esame di coscienza e domandarsi se sono in grado di garantire la sicurezza. Non possono scaricare tutte le responsabilità sulla polizia penitenziaria, noi siamo solo esecutori di ordini». L'ultimo eclatante episodio che dimostra che a Rebibbia sia più di una cosa a non funzionare (non solo i telefoni e fax) è l'evasione di tre detenuti di origine albanese avvenuta la notte tra il 26 e il 27 ottobre scorso e tuttora ricercati. Il tutto a otto mesi dalla fuga di altri due carcerati romeni, poi catturati. «Non si può subire una prima evasione a febbraio e non prendere provvedimenti - fa notare il segretario generale del Sappe - Oramai si riscontra un abbassamento della sicurezza a livelli minimi. I reclusi non sono mica scemi, studiano le falle per cercare di scappare. E di falle a Rebibbia ce ne sono tantissime: il sistema di anti-scavalcamento e di anti-intrusione non funzionano». Solo ora, dopo la seconda evasione, hanno ripristinato il servizio delle sentinelle. Da due anni, infatti, a causa dei tagli, il muro esterno non era più perlustrato dalle volanti della penitenziaria. «Non potevano metterle già da febbraio, dopo la prima evasione? - si domanda Capece - Già ci sono 300 agenti in meno, in più si continua a non vedere la debolezza del nuovo sistema di vigilanza "aperto". Il detenuto è libero di circolare in sezione, di organizzarsi con gli altri ed è così in grado di fregare la sorveglianza. Prima la vigilanza era fissa, ora si va di tanto in tanto a controllare».