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È caccia ai 3 evasi, polemica sulla sicurezza a Rebibbia

Un assassino e altri due criminali in fuga dal carcere. I tre albanesi erano in cella per reati gravissimi come omicidio, droga e armi

Silvia Sfregola
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Dopo quasi due giorni di ricerche non c'è traccia dei tre detenuti evasi dal carcere di Rebibbia la notte tra mercoledì e giovedì. Foto segnaletiche dei tre sono state diffuse in tutta Italia, da Roma alle frontiere. La pm della procura capitolina, Nadia Plastina, coordina le indagini mentre alle ricerche dei tre cittadini albanesi partecipano polizia, carabinieri e tutte le forze dell'ordine. INQUIRENTI: EVASI PERICOLOSI E CON AIUTI ESTERNI Gli evasi sono considerati molto pericolosi: hanno trascorsi criminali che vanno dal traffico di droga e armi, allo sfruttamento della prostituzione fino agli omicidi. Il più temibile è Basho Tesi, 35 anni, condannato all'ergastolo per omicidio, armi e sfruttamento della prostituzione; Mikel Hasanbelli, 38 anni, era in carcere per droga e sfruttamento della prostituzione con fine pena nel 2020; Ilir Pere, 40 anni, è stato condannato per traffico di droga e armi, e per tentato omicidio con fine pena nel 2041. «Non hanno nulla da perdere e hanno probabilmente appoggi esterni di persone pronte ad aiutare la loro fuga anche economicamente», sottolinea chi indaga. Inoltre i tre fuggitivi, scappati dopo aver segato le sbarre con una lima ed essersi calati dalle mura di cinta con lenzuola legate tra loro, hanno avuto un vantaggio di oltre tre ore sulle forze dell'ordine, perché tanto è passato dal momento dell'evasione a quando il carcere ha dato l'allarme. LA PROCURA E LE INDAGINI SULLA SICUREZZA DEL CARCERE In procura arriverà l'informativa dell'ufficio ispettivo del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria (Dap). E considerato che questa è la seconda evasione da Rebibbia nel giro di pochi mesi, verranno effettuate attente verifiche per appurare eventuali carenze nei servizi di controllo del carcere romano. I tre erano assegnati al reparto G9, circuito media sicurezza. Il Dap ha fatto sapere ieri di aver disposto indagini interne per ricostruire l'esatta dinamica dei fatti. Dai primi accertamenti i sistemi di allarme erano funzionanti, ma l'evasione con modalità in tutto simili a quella che lo scorso 15 febbraio aveva avuto per protagonisti i romeni Catalin Ciobanu e Mihai Florin Diaconescu, suscita, ancora una volta, polemiche legate alla sicurezza del centro di detenzione. CISL: INDISPENSABILI GRATE IN ACCIAIO E NUOVI ALLARMI «La prima cosa da fare è sostituire le grate, che si tagliano facilmente e non sono idonee a un carcere, con quelle in acciaio». Così Massimo Costantino, Fns Cisl Lazio, che aggiunge: «Bisogna poi mettere in sicurezza i sistemi di allarme e quelli antiscavalcamento». Il sindacalista sottolinea che i sistemi di sicurezza del carcere sono ormai obsoleti: basta un gabbiano o un colpo di vento per far scattare l'allarme tanto che spesso viene ignorato dagli agenti. «Inoltre un agente di Rebibbia deve vigilare in alcuni momenti su duecento detenuti - dice Costantino - e se non si incrementa il personale e non si aumentano i capitoli di spesa per la sicurezza, episodi come quello di ieri si ripresenteranno». SBARRE SEGATE E LENZUOLA: I PRECEDENTI Stesso copione, stessa scena, stesso carcere. La casa circondariale romana di Rebibbia è stata teatro di eclatanti evasioni con sbarre tagliate e lenzuola usate come corde, anche di recente. Lo scorso 14 febbraio, Catalin Ciobanu e Mihai Florin Diaconescu, romeni di 28 e 33 anni, fuggono dal carcere dopo aver segato con una lima le sbarre di una finestra, calandosi con alcune lenzuola legate tra loro. La loro fuga dura poco più di tre giorni: Ciobanu si costituisce, mentre Diaconescu viene fermato la notte del 18 febbraio durante un controllo a un posto di blocco. L'11 febbraio del 2014 invece dal carcere fuggono due detenuti romani, Giampiero Cattini e Sergio Di Palo, residenti rispettivamente a Primavalle e Tor Bella Monaca. I due scappano dal terzo piano dello stabile, attualmente dismesso, anche in quel caso dopo aver segato le sbarre ed essersi calati con lenzuola annodate. La fuga di Cattini dura meno di un giorno e una settimana dopo viene catturato anche De Palo in provincia di Ascoli Piceno. Si era nascosto in un ospedale di San Benedetto del Tronto, sotto falsa identità, perché durante la fuga si era fratturato un ginocchio.

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