Dal Pci al Pd chiude la sezione (morosa) di via dei Giubbonari
Alla vigilia dell'ultima assemblea nella sede Pd di via dei Giubbonari il pomeriggio sembra scorrere come uno dei tanti da 70 anni a questa parte. La bacheca all'ingresso è occupata dalla lenzuolata de L'Unità, il televisore è acceso sul tg di Rainews, quattro-cinque persone si alternano sul tavolo componendo in scala le divisioni del Pd (tra sì e no al referendum ci sono pure gli incerti) e una guida turistica spiega a increduli visitatori americani che quella con la targa dimarmo con la falce e martello all'ingresso "is the headquarter of Renzi's party". Sembra tutto normale dunque,ma nonl o è. C'è attesa. Oggi, infatti, sarà la volta dell'ultimo incontro politico pubblico prima della chiusura-shock della storica sede in pieno centro di Roma che fu Casa del fascio e, a guerra finita, sede del Pci e di tutte le evoluzioni della sinistra italiana, dal Pds ai Ds fino all'approdo al Pd e nella quale sono iscritti, tra gli altri, Giorgio Napolitano, Fabrizio Barca e Monica Cirinnà. A inizio novembre si riconsegnano le chiavi al Comune perché la sentenza del Consiglio di Stato, il 22 settembre, non ha riconosciuto al Pd la titolarità per occupare i locali di proprietà comunale. Di fatto il Pd qui è «occupante». Lo ha spiegato, su Facebook, il presidente e commissario romano Matteo Orfini: «Stiamo per lasciare lo storico circolo di via dei Giubbonari. È un momento triste per tutti noi – si legge -. Ma credo sia utile chiarire alcune cose». La più importante non ha a che fare con lo scenario aperto dall'ultima Affittopoli: «Il Comune ci ha sfrattato non per il debito, ma perché saremmo sprovvisti di titolo di locazione. Una tesi contro la quale abbiamo ricorso - perdendo - al Tar e al Consiglio di Stato». Secondo Orfini, insomma, non c'entra la morosità accumulata negli anni che si avvicina ai 170mila euro. Il problema, sembra un paradosso, è che manca un contratto. «Sciatteria, e non certo da oggi». Dentro la sede è questa la parola che mette d'accordo tutti. A pronunciarla per primo a Il Tempo è Fabrizio Barbone, «cittadino-militante» che da quasi due anni apre tutti i giorni la sezione. Lo stato d'animo, tra il busto di Napolitano («opera di un artista simpatizzante»), l'opera omnia di Lenin ordinata negli scaffali della ricca biblioteca e la galleria di immagini che ritraggono i volti di Gramsci e Berlinguer, è quello che è: «I soldi come vedete non c'entrano nulla - continua Barbone -. Abbiamo già versato 40mila euro e siamo disposti a pagare l'affitto a un prezzo consono a un'attività sociale…». Il problema allora, altro paradosso, nasce proprio dalla Giunta capeggiata da Marino, che votò proprio qui per le primarie: «Ha fatto una cosa giusta, ossia cercare di mettere ordine nella giungla del patrimonio immobiliare. Però forse non ha considerato la richiesta del segretario della nostra sezione (per la regolarizzazione, ndr) passando la lettera direttamente all'ufficio amministrativo...». Atteggiamento considerato «pilatesco», dunque. Così come responsabile per la mancata formalizzazione della locazione è il Comune. A proposito di questo: il sindaco Raggi - a quanto si vocifera - incalzato dal gruppo del Pd e da Stefano Fassina sarebbe intenzionato a trovare una soluzione, in attesa di un nuovo bando al quale gli iscritti al circolo intitolato al partigiano Guido Rattoppatore parteciperebbero di certo «e in totale trasparenza», giurano. «Ritorneremo qui, metteremo le cose a posto», anticipa parte del discorso che pronuncerà oggi Giulia Urso, segretario della sezione. Lo dice provata perché, come spiega, ha trascorso «gli ultimi sei anni della vita a cercare di non far chiudere questo posto, di far diventare questa sede un vero e proprio think tank». La domanda a questo punto è d'obbligo: perché difendere a tutti i costi una struttura che lo stesso partito - come ha confermato Orfini - ha trattato con «disinteresse»? «Perché i luoghi della politica vanno ripristinati - risponde-. Perché la "narrazione" non può esistere solo sul web...».