Sperimentazione animale, un convegno per la ricerca
Non solo porcellini d’india. Anche cani, gatti, cavalli, pesci e scimmie finiscono la loro vita in un laboratorio di vivisezione. Publio Ovidio Nasone detto Ovidio si starà girando nella tomba: «Crudelitas in animalia est tirocinium crudelitatis contra homines», «la crudeltà contro gli animali è un apprendistato della crudeltà contro gli uomini», amava ripetere. Idem starà facendo il professor Albert Einstein: «Vivisezione, nessuno scopo è così alto da giustificare metodi così indegni». Due frasi che gli animalisti citano spesso. Due frasi che, a prescindere se avessero ragione o no Tanto Einstein quanto Ovidio, sono ancora attuali. Alcune specie sono calate: criceti, capre, proscimmie, quaglie e rettili si sono dimezzati. In controtendenza i bovini, cui fanno seguito una collezione di nuove “comparse” come diamantini, foche e lontre. Chi frequenta i laboratori lo sa: sono tante le pellicce che si agitano. Per gli animalisti è inaccettabile. Per i ricercatori è un tesoretto indispensabile. Se AIDS e leucemia infantile non sono più malattie incurabili lo dobbiamo alla sperimentazione animale. La ricerca italiana non deve subire restrizioni rispetto al resto dell’Unione Europea. Se ne parla al convegno dedicato agli “Animali che ci salvano la vita”. Titola “SPERA - Sperimentare per curare. Animali modello e progresso nella ricerca biomedica”. È in programma il 29 novembre (ore 9) al CNR di piazzale Aldo Moro a Roma. La domanda nasce spontanea: è giusto, eticamente, far soffrire un essere capace di soffrire? Bruxelles, con il bando dei test nel campo dei cosmetici, ha già risposto. Per il resto, Paese che vai, norma che trovi. A livellare la tematica interviene il convegno, che si propone di far conoscere ai cittadini e presentare alle associazioni dei malati le ragioni della ricerca scientifica a sostegno della sperimentazione animale che, allo stato attuale delle conoscenze e delle tecnologie disponibili, resta una necessità e non una opzione. La sperimentazione sugli animali, passo obbligato prima della sperimentazione sull’uomo dei nuovi farmaci, ha consentito di avere cure per malattie gravi, come l’AIDS, la leucemia infantile, il cancro e malattie neurodegenerative come il Parkinson e l’Alzheimer. Ancora oggi, infatti, le cellule coltivate in vitro sono una estrema semplificazione che non può sostituire la complessità sia pure del più piccolo organismo complesso.