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I periti: «Stefano Cucchi non morì di pestaggio»

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Casidel genere non trovano riscontro nei nuovi testi di medicina legale. Esistevano solo in quelli vecchi dell'800 in cui, per esempio si parla di morti relative a carestia». Inizia così la sua relazione uno dei sei periti chiamati dalla Corte d'assise che sta portando avanti il processo sulla porte di Stefano Cucchi, per far luce sul decesso del ragazzo di 31 anni, morto al Sandri Pertini una settimana dopo il suo arresto per droga. Gli esperti dell'istituto Labanof di Milano hanno illustrato, nell'aula bunker di Rebibbia, dopo sette mesi di lavoro, le 190 pagine di dossier. I periti, per spiegare la situazione fisica che il geometra aveva prima della morte, si addentrano in parallelismi storici come i dati raccolti nell'ospedale del ghetto di Varsavia. I medici hanno parlato più volte di «inanizione»: ovvero una sindrome sostenuta da mancanza, o grande carenza, di alimenti e liquidi. In parole povere: morte per malnutrizione. Invece se il personale sanitario che ha avuto in cura Cucchi avesse deciso per un trasferimento e un trattamento immediato in terapia intensiva «probabilmente» questi due passaggi «avrebbero ancora consentito di recuperare il paziente». «Anche nell'ipotesi di un quadro lesivo sostenuto da colpi volontariamente inferti da terzi, il numero di poli d'urto documentati sono 3, di cui due al capo (che ledono soltanto i tessuti molli) e uno in regione sacrale», sostengono i periti. Ma anche in questo caso gli esperti non sciolgono il nodo. Infatti dicono: «In definitiva il quadro traumatico osservato si accorda sia con un'aggressione, sia con una caduta accidentale, né vi sono elementi che facciano propendere per l'una piuttosto che per l'altra dinamica lesiva». Gli esperti hanno escluso definitivamente che il decesso fosse stato causato dagli eventuali traumi subiti al momento della detenzione.

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