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Il Tevere un mese dopo fa più paura della piena

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Banchine e scale ancora impraticabili a causa del fango Tiber II «in secca». Alberi e detriti sui piloni dei ponti

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Chipassa pensa al Natale (addobbi?). Invece, è solo l'immondizia dimenticata sulle sponde a un mese esatto dalla piena del fiume, che sta attraversando il dicembre più sporco di sempre. Così - salvo misure straordinarie - resterà in tutto il centro storico, anzi dall'Isola Tiberina a ponte Milvio, riva destra e sinistra, dove ai rifiuti si alternano le tende dei disperati, qualche abusivo che si nasconde dagli agenti, marciapiedi impraticabili tanto scivoloso è ancora il fango e, all'altezza del lungotevere delle Armi, anche il relitto di un'imbarcazione, la Tiber II, arenata lì a un passo dalla ciclabile, anche questa inavvicinabile. Insomma il 16 novembre, data in cui è ufficialmente cessato lo stato di allerta post esondazione, coincide in realtà con l'inizio di un'altra emergenza di cui ancora, nonostante qualche intervento sia stato fatto, non si conoscono bene i tempi. Il quadro, dall'alto, magari per un turista, è ingannevole. Arrivi all'Isola Tiberina e ti ritrovi tra decine di bandiere che sventolano, giù - vicino all'indicazione del cinema - i rami degli alberi tutti gialli e blu. Attimo di euforia e poi però si capisce che l'aria non è proprio di festa: tagli all'ospedale e rifiuti (maglioni, lattine, una coperta coi pupazzi), alla fine l'attualità degli ultimi mesi per Roma. Il viaggio sulle banchine continua, in direzione ponte Garibaldi, dove ancora stazionano i senzatetto sgomberati ma tornati. E comunque sarebbe impossibile avventurarsi, troppo fango. Su questa sponda, tra il Tevere che ancora raggiunge il livello della banchina e il fango, diversi centimetri, diventato una poltiglia appiccicosa, è pericoloso camminare. A terra qualcuno (i punk, o forse i cingalesi che ogni pomeriggio, anche ieri, pescano non si sa cosa?) ha steso tanti cartoni, seguendo il sentiero si potrebbero raggiungere le scale, ci arrivi ma è tutto inutile: tra i sacchetti d'immondizia, e la gomma di un'auto, i gradini non si vedono più, sommersi dal fango, impossibile salire. Effettivamente al contrario, scendendo all'altezza di ponte Mazzini, l'accesso è ancora interdetto al passaggio. Precauzione? No, il nastro giallo è quello di un mese fa, assente sulla sponda opposta come del resto sulle decine di gradinate, le altre verso ponte Milvio, ancora impraticabili, tutte fango e foglie. Più avanti, si nasconde un gruppo di abusivi: sopra c'è una pattuglia della polizia, loro aspettano in riva al fiume, svuotando qui i borsoni pieni di cartacce, che resteranno a terra assieme ai fili elettrici delle luci, a penzoloni come i pali in ferro che le sorreggevano, cadute sotto il peso dei tronchi degli alberi, che in prossimità dei ponti sono rimasti appesi nei posti più improbabili, nelle insenature o tra i rilievi di marmo. Anche in acqua viaggia di tutto: carcasse di qualche arredo, galleggianti di imbarcazioni attraccate chissà dove, un casco. Poi fango, fango e ancora fango. Va meglio sull'altra sponda, lato Trastevere, in parte ripulita ma i disagi restano sulle ciclabili, sul lungotevere delle Armi, tra il Palazzaccio e Castel Sant'Angelo, per esempio – si chiede Carla G. – «come faccio a raggiungere la pista con la bici in spalla da queste scale sporche? Impossibile, devo farmi un chilometro in più, passo dal ponte Duca D'Aosta!». Anche in quella parte, verso nord, il tempo si è fermato. Tra i circoli del lungotevere, che ancora spalano la melma dai campi da tennis (pensando ai risarcimenti promessi da Alemanno), vicino al ponte della Musica, dove si è incagliato sulla sponda, e sta lì come un relitto, il Tiber II, fino a ponte Milvio, che ancora ha le arcate ostruite dai rami e detriti portati giù dalla corrente. Il tempo si è fermato, e il Tevere è ancora un fiume in piena, anche se l'acqua non c'entra nulla.

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