Pena ridotta per il pugno a Maricica

Laprima corte d'Assise d'appello ha ridotto la pena mentre l'accusa aveva chiesto una condanna più aspra a 12 anni di reclusione. La Corte non ha riconosciuto al giovane le attenuanti generiche come invece era stato chiesto dal procuratore generale. L'episodio risale all'8 ottobre del 2010 quando Burtone colpì l'infermiera romena al termine di un litigio iniziato al termine di una tabaccheria. La donna cadde a terra urtando la testa e morì dopo otto giorni in ospedale. I difensori di Burtone, gli avvocati Gianantonio Minghelli e Fabrizio Gallo hanno annunciato di voler chiedere una misura detentiva più attenuata come gli arresti domiciliari. La sentenza a otto anni di reclusione per Alessio Burtone è stata emessa dalla prima Corte d'appello presieduta da Lucio Mario D'Andria. La Corte ha condannato Burtone anche a liquidare le spese giudiziarie sostenute dalle parti civili, i parenti della vittima e il Comune di Roma. «Mi sembra una sentenza positiva - ha commentato dopo la lettura della sentenza il difensore di Burtone, l'avvocato Fabrizio Gallo - la Corte ha dato un'apertura e ciò che noi prospettavamo sin dal primo grado si sta ora concretizzando. Adesso chiederemo gli arresti domiciliari». «Non capisco, non capisco». Così Adrian il marito dell'infermiera romena Maricica Hahaianu, uccisa con un pugno alla fermata della metro Anagnina, dopo la lettura della sentenza d'appello che ha ridotto la pena di un anno di reclusione ad Alessio Burtone. «È una sentenza frettolosa - ha spiegato il legale di parte civile che rappresenta la famiglia di Maricica, l'avvocato Alessandro Di Giovanni - dopo appena un'ora di camera di consiglio e nella quale si sconta anche un pregiudizio verso i romeni. Se la vittima fosse stata una italiana qui ci sarebbe stata forse molta più attenzione». Per la Corte di primo grado, il giovane aveva pagato il fatto di essere «cresciuto in un contesto di scarsa attenzione ai valori del rispetto e della considerazione degli altri. In tale ottica, va inquadrata anche l'espressione sorridente assunta dall'imputato al momento del suo arresto, sintomatica di un atteggiamento più che irridente e provocatorio, superficiale, irresponsabile e puerilmente inconsapevole della gravità del gesto».