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Una vita di coccole Altro che canile lager

Una vita di coccole nel canile Parrelli

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Il canile lager, il canile degli orrori, il canile con l'inceneritore (a suggerire che fine farebbero i cuccioli): da cinquant'anni sul rifugio per animali abbandonati Parrelli, sulla Prenestina, si gioca il tiro a segno, l'ultima denuncia - a mezzo stampa, cavalcata dal consigliere Fabrizio Santori (Pdl) - è di appena qualche giorno fa e ripropone un copione che la signora Giuseppina Parrelli, 88 anni, "la maggior parte dedicati a questo posto" conosce bene. "Quello di attaccarci è lo sport preferito dalle associazioni che gestendo questi posti ci guadagnano - spiega candidamente lei, che le critiche ormai se le fa scivolare addosso - non abbiamo alcun tipo di fondo o aiuto da parte del Comune o altri enti, questo è un canile privato che vive solo del tempo messo a disposizione dai volontari e dei nostri risparmi". Hanno all'attivo, però, e le esibiscono, decine di relazioni che documentano i sopralluoghi di Ministero della Salute e servizio veterinario dell'Asl Roma B: "Ci impongono qualche adeguamento strutturale, ma nulla a che fare col benessere e la salute degli animali". Si legge e nel canile si vede questo: circa trecento cani, con altrettanti nomi e altrettanti microchip di riconoscimento, in media tre per box coperti, duecento gatti ("compreso Pirata, che è scappato ma poi è tornato qui", raccontano), tre veterinari per un controllo a cadenza mensile ed eventualmente su chiamata, dieci volontari, di cui tre fissi, solo feste quando si affaccia la loro padrona: "Un solo morso in cinquant'anni e mai zuffe tra loro, vorrà pur dir qualcosa!". Giuseppina, Pina come si fa chiamare lei, apre il canile per necessità: "Non mia, solo pensare di vendere un cane mi fa venire la pelle d'oca, ma per necessità degli animali. Chi non lo può più tenere me lo lascia alla porta". Quello di aiutare i randagi era un pallino fin da piccola, ha contribuito poi l'incontro con colui che diventò sui marito, il veterinario Giuseppe Parrelli, fondatore della Lai (Lega antivivisezionisti italiani). Rimasta vedova, racconta, è iniziato il massacro: "Dal '94, hanno detto che bruciavo i cani, oppure che li mettevo nel congelatore. Non ho tenuto neppure il conto di tutte le denunce che mi hanno fatto, e di cui non si è saputo più nulla, forse hanno capito che li tratto davvero come se fossero i miei bambini". Effettivamente basta digitare su internet "Parrelli" per rendersi conto che davvero in pochi, in questi anni, non si sono occupati della signora Giuseppina: da Facebook alle interpellanze in regione, dalle associazioni animaliste (Lav, Aidaa, Animalisti Italiani onlus, Garante dei diritti animali, X4zampe) ai siti di giardinaggio, è tutto un "salviamo quei poveri cani". Poi manifestazioni, sit-in, gazebo con raccolte firme, l'interessamento della politica. E il servizio veterinario dell'Asl cosa risponde? Che quel canile, diventato un rifugio per decine e decine di animali abbandonati sul Raccordo perché malati, magari in vista delle vacanze estive, oppure nei cassonetti, oppure ancora scampati all'ennesimo combattimento clandestino e affidati a Pina proprio dalle forze dell'ordine, può e resterà aperto. La mole di controlli - l'ultimo, congiunto, di Asl e Ministero, ma anche dei Nas dei carabinieri - segue chiaramente l'attenzione mediatica e il numero di esposti collezionati nel tempo: "Siamo sorvegliati speciali, questo dovrebbe bastare", sorridono le volontarie chiedendosi però il perché "di tanta ostilità". Il recente rapporto di febbraio 2012 evidenzia che "gli aspetti igienico-sanitari, alimentari e di socializzazione garantiscono un buon livello di benessere degli animali", pur essendo state riscontrate "criticità di natura strutturale", vedi reti arrugginite e dimensione dei box. "Ma siamo già al lavoro - Pina indica gli operai nell'area di sgambamento - certo abbiamo solo i nostri risparmi, intanto compenseremo con le coccole".

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