Cerca
Cerca
Edicola digitale
+

Ultime ore dell'angelo di ponte Mazzini

L'ultimo abbraccio al piccolo Claudio

  • a
  • a
  • a

Lo ha poggiato sul parapetto del ponte, tenendolo per le caviglie, con la testa che sporgeva nel vuoto. "Vieni qui, dammi il bambino, non fare pazzie", l'ha implorato la zia del piccolo. Ma lui, invece, la pazzia l'ha fatta e ha lasciato cadere Claudio nelle acque gelate del Tevere. Erano le cinque e mezza del 4 febbraio. Il corpicino venne ritrovato quasi un mese dopo a Fiumicino. Aveva ancora addosso brandelli del pigiama che portava quando era stato strappato dalla sua culla dal padre Patrizio, che adesso è a Regina Coeli accusato di omicidio volontario. Da allora la famiglia ha ricevuto messaggi di solidarietà, il parco giochi di piazza San Cosimato porta il suo nome, il sito intitolato alla vittima è stato visitato da 15 mila persone, il Campidoglio ha pagato i funerali e due impresari delle pompe funebri, Roberto Innocenzi e Adriano Grammaroli, hanno provveduto spontaneamente a loro spese alla lapide sul loculo del «riquadro h» del Verano, dove giace "l'angioletto di ponte Mazzini". L'omicidio ha colpito al cuore i romani. Ma pochi sanno veramente che cosa è successo quella maledetta mattina d'inverno. La Capitale è ostaggio del gelo e della neve. Patrizio Franceschelli, 26 anni, che convive a Corviale con Claudia, di 29, sedici mesi prima è diventato papà di un maschietto. Tra i due c'è sempre stato un rapporto difficile. Lui ha precedenti per spaccio. E non si fa problemi ad alzare le mani sulla compagna. Lei è innamorata e, anche se nel 2006, lui le spacca il naso con un pugno, non lo denuncia. Nessuno, però, pensava che potesse far del male al figlio. Fino a quel sabato livido e gelido. Claudia è al Santo Spirito. Si è presentata piena di lividi e in stato delirante. Patrizio arriva all'alba a casa della suocera Rita, in via Orti d'Alibert, a Trastevere. Il bambino dorme. Lui chiede di poterlo vedere. Gli viene concesso. Vuole dormire lì anche lui, ma Rita non glielo permette e così se ne va. Dieci minuti più tardi risuona alla porta dell'appartamento al piano terra. "Ho dimenticato il cappello", spiega. probabilmente è una scusa. Nella sua mente offuscata dalla rabbia (e forse dalla droga, il test non è stato fatto) forse già cova la folle idea. L'uomo afferra Claudio ancora sprofondato nel sonno. "Lo porto a fare una passeggiata", dice. La nonna del piccolo cerca di fermarlo con le buone: "A quest'ora? Aspetta, faccio il biberon a lui e un cappuccino a te...". È inutile. Patrizio non molla. Interviene anche Manuela, un'altra figlia di Rita, che è al nono mese di gravidanza. Si para davanti alla porta con il suo pancione e tenta di non farlo uscire. Anche questa manovra si rivela vana. Patrizio la scansa con forza ed esce. Le due donne lo seguono. Patrizio stende il figlio su un cumulo di neve e, quando Rita si piega per prenderlo in braccio, lui le dà un calcio sulle spalle (avrà una prognosi di 35 giorni), riafferra il piccolo e fugge. Rita, Manuela e Mirella, un'altra zia di Claudio sopraggiunta nel frattempo, gli vanno dietro. Intanto l'uomo ha incontrato su ponte Mazzini un agente di polizia penitenziaria in auto, che vede il bambino piangente e tremante per il freddo e invita il padre a salire a bordo. Patrizio gli chiede in prestito il cellulare perché, dice, vuole chiamare i carabinieri. L'agente gli consiglia di chiamare il 118. A questo punto, lui abbandona l'auto e stende il piccolo sul parapetto, tenendolo per i piedini. Rita, Mirella e l'agente penitenziario lo supplicano di stare calmo, di non fare pazzie. Non serve a niente. L'uomo lascia cadere il figlio nel vuoto e, mentre il corpicino s'inabbissa, si allontana. Lo fermeranno poco dopo i carabinieri, mentre si nasconde dietro un albero. "Sì, sono Patrizio. Ho fatto una gran cazzata...", sono le sue prime parole. "Non c'è stato pentimento o richiesta di perdono - spiega Germano Paolini, l'avvocato di Rita - Quell'uomo ha devastato la vita di una famiglia e o ora chiedono che resto della sua, di vita, la passi dietro le sbarre". La pensano così anche i detenuti di Regina Coeli, che hanno scritto una lettera a nonna Rita. E i tifosi della Roma, la squadra di Patrizio, che allo stadio hanno innalzato uno striscione eloquente: "Franceschelli, devi morire piano piano".

Dai blog