I filoni d'inchiesta viaggiano in due direzioni.
Laseconda, invece, ha per obiettivo gli stessi Centri di assistenza fiscale, che avrebbero incassato dall'Inps rimborsi per pratiche posticce. Un giro d'affari notevole che interessa la bellezza di quarantamila dichiarazioni sostituitive uniche (Dsu), sul quale stanno indagando le Fiamme Gialle coordinate dal procuratore aggiunto capitolino Alberto Caperna e dal pubblico ministero Ilaria Calò. Tutto ha inizio nel luglio del 2011. Dopo uno screening della sua banca dati, l'istituto di previdenza sociale scopre che tra il 2008 e il 2010 ci sono state una valanga di dichiarazioni «sospette». La denuncia arriva alla Procura della repubblica romana e viene presa in carico dai due magistrati di piazzale Clodio. L'ipotesi di reato è la truffa aggravata ai danni dello Stato. Caperna delega i controlli al Gruppo Tutela Mercato, Beni e Servizi della Guardia di Finanza diretto dal tenente colonnello Francesco Vizza e che fa parte del Comando del Nucleo di polizia tributaria guidato dal generale Virginio Pomponi. L'input arriva al capo ufficio operazioni del gruppo tenente colonnello Gavino Puzzu e l'operazione viene condotta sul campo dal capitano Elena Galiberti. I finanziaeri si mettono al lavoro e ieri, dopo quasi un anno di indagini, eseguono il loro blitz in 35 sedi legali dei Caf che si trovano nella Capitale (altri 18 sono fuori città e sono oggetto di uno stralcio dell'inchiesta). Le dichiarazioni sostitutive uniche sequestrate contengono i dati sul reddito e il patrimonio che servono a calcolare gli indicatori sulla base dei quali vengono individuati i soggetti cui spetta l'erogazione di prestazioni sociali agevolate, ad esempio nel campo sanitario, della pubblica istruzione, degli asili-nido, o in quello dell'assegnazione delle case popolari. Il cittadino potrebbe aver fatto una falsa attestazione dei propri guadagni, il Caf recepito le informazioni ricevute e, dopo aver calcolato il reddito Isee, inviato il tutto all'Inps. In questo caso la responsabilità penale sarebbe del singolo dichiarante. L'altra pista è più seria. E preoccupante. Tra le quarantamila dichiarazioni sotto analisi dei finanzieri ce ne sono molte che riguardano persone defunte o nuclei familiari con persone decedute fatte risultare vive o, ancora, dichiarazioni uguali presentate nello stesso giorno ma in regioni diverse. L'ipotesi è che le Dsu siano state inoltrate dai Caf per ottenere un rimborso «gonfiato» dall'Inps. I centri di assistenza, infatti, percepiscono dagli otto ai sedici euro a pratica e le verifiche da parte dell'Istituto di previdenza sociale non sono facili. I Caf inseriscono nel terminale un protocollo dati con il numero di prestazioni e l'Inps non sa neanche da quali centri sul territorio provengono i dati, tanto che le Fiamme Gialle hanno sequestrato il materiale nelle sedi legali dei Caf e non nel centri stessi. E nei Caf della Capitale com'è stata accolta la notizia dell'inchiesta? Sorpresi non tanto, convinti dell'innocenza di chi sta dietro la scrivania e smista pratiche da inviare all'Inps. In fondo, dicono, «per otto-dieci euro a pratica che ci dà lo Stato, non conviene mettersi nei guai». I funzionari di alcune sedi territoriali dei Centri di assistenza di Roma Nord hanno le idee chiare sui responsabili della truffa: «Sono i cittadini che dichiarano il falso per ottenere le prestazioni sociali gratuite», spiegano. Nessuno è disposto a dire il proprio nome e cognome, e la prima reazione è contattare i responsabili delle sedi regionali, che preferiscono non parlare al telefono con un giornalista. Alla sede Cgil una gentile signora spiega: «Consegniamo un modulo al cittadino che ci chiede di poter usufruire di alcune prestazioni sociali come l'assegno di maternità, l'asilo nido, dove sono indicati i documenti da portare. Poi inseriamo i dati nel computer e calcoliamo il reddito Isee. Il nostro lavoro finisce qui. Se ci portano dei documenti falsi o un'autocertificazione per esempio del conto bancario che non corrisponde alla realtà non possiamo farci niente, sono gli altri enti a dover fare le verifiche». Vale a dire l'Inps, l'Agenzia delle Entrate. Ma proprio qui nasce il problema per un altro funzionario, questa volta del Caf di Battistini. Che spiega: «Se chi dovrebbe controllare non controlla, noi del Caf cosa possiamo fare? Certo, se notiamo delle grosse incongruenze, tipo uno che dice di non avere reddito e poi mi dichiara che paga il mutuo e ha tre figli o gira con una macchina di lusso, allora possiamo fargli notare che qualcosa non funziona, ma certo non rifiutarci di seguirgli la pratica». E se manca qualche documento? La signora che da più di dieci anni lavora al Caf Ugl di via Aurelia è un fiume in piena: «È capitato, eccome, ma la pratica è partita lo stesso. Noi abbiamo un programma molto costoso nei computer dove inseriamo i dati che ci porta il cittadino. Capita che qualcuno si dimentichi un documento e mi assicura che me lo porta più tardi o domani e poi non si fa più vedere, ma intanto la pratica è partita». E gli altri enti verificano? «Una volta ho inviato una pratica per un assegno di maternità. La signora a me aveva dichiarato di non avere reddito, l'Inps ha controllato e mi ha contattato per dirmi che non era vero. Mi è successo una sola volta – continua – e penso che i controlli non siano affatto frequenti». (Ha collaborato Damiana Verucci)