Imu: alloggi popolari come seconde case
Il vertice, forse decisivo, tra l'Anci e il premier Monti è previsto per oggi pomeriggio. Una "chance" importante per il sindaco Alemanno per modificare i lacci della nuova imposta municipale che, di fatto, è una vera e propria patrimoniale e che avrà su Roma l'impatto più devastante. In questo quadro si è parlato poco, o per nulla, del settore più fragile, quello degli alloggi popolari, gestiti dall'Azienda territoriale per l'edilizia popolare di Roma, la più grande. Paradossalmente le case dove vivono i più disagiati dovranno non solo pagare ma pagare come seconda casa. Ne abbiamo parlato con il presidente dell'Ater Roma, Bruno Prestagiovanni. Onorevole Prestagiovanni, ma davvero le case popolari pagano come seconde case? «In virtù di una legge nazionale il Comune di Roma considera il patrimonio Ater come seconda casa e dunque applica l'aliquota del 10,6 mille, alla quale tuttavia viene sottratta l'agevolazione prevista dal governo del 3,8. Alla fine insomma l'aliquota sarà del 7,6 per mille anche se aspettiamo la delibera definitiva per avere poi la misura precisa». Tradotto in soldoni? «Si parla di almeno 34-36 milioni di euro. Una cifra assolutamente improponibile per un ente come il nostro che bolletta 74 milioni e incassa 55-58 milioni». Non solo Imu, risulta che già con la vecchia Ici l'Ater aveva qualche problema di solvenza con il Comune, giusto? «I debiti dell'Ater nei confronti del Campidoglio per quanto riguarda la vecchia Ici ammontano a circa 650 milioni di euro. Il problema tuttavia è a monte». Cioè? «Occorre una riforma concreta, e urgente, dell'Ater e soprattutto della sua finalità sociale. Ho sollecitato più volte la Regione a verificare e riscrivere la normativa su affitti e vendite ad esempio. Questo sarebbe il primo passo verso un risanamento non solo economico del mondo dell'edilizia popolare. Così come occorre cambiare la forma giuridica. Oggi le Ater sono enti pubblici economici che per legge devono tendere al pareggio di bilancio, nessuno però si occupa di come arrivare a questo. E adesso, con l'introduzione dell'Imu davvero si mette a rischio la missione sociale e l'esistenza stessa delle Ater». Cambiare la normativa significa ritoccare i coefficienti per stabilire i canoni di affitto e le rendite catastali per la vendita. «Oggi abbiamo poco meno di tremila famiglie che dichiarano di non avere reddito e dunque pagano 7,75 euro al mese di affitto. Ma se non hanno reddito come fanno a pagare anche questa cifra irrisoria? E, al contrario, se hanno reddito magari possono pagare anche cifre più congrue. Questo vale anche per le vendite, dove i parametri imposti dalla Regione vanno da circa 300 a massimo 800 euro al metro quadrato. Se non si rivede tutto questo, l'edilizia popolare intesa come servizio anzitutto sociale è destinata a morire».