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La holding per salvare dipendenti e consiglieri

Il Campidoglio, Roma

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Settecento milioni di euro. È questa la cifra che l'assessore capitolino al Bilancio, Carmine Lamanda ha messo sul "piatto" vuoto delle casse capitoline. Frutto dei tagli imposti dal governo, dei mancati pagamenti da parte della Regione e dai lacci del Patto di stabilità, il Campidoglio si ritrova a dover reperire centinaia di milioni di euro in un momento di crisi e a dieci mesi dalla scadenza del mandato. Tra le misure che la giunta ha sottoposto all'esame dell'Assemblea capitolina, la costituzione della holding e la vendita del 21% delle quote Acea. Una manovra ardua sulla quale le opposizioni hanno già cominciato una battaglia durissima passata dalle carte alle proteste. L'Aula Giulio Cesare è stata infatti occupata dai comitati per il «no» alla vendita di Acea, con l'avallo di esponenti del centrosinistra. Un paio d'ore di blocco lavori, risolto poi con l'intervento del presidente del Consiglio, Pomarici, che ha concesso il colloquio richiesto dagli occupanti. Il clima resta comunque teso. Sabato è prevista una manifestazione in piazza, mentre i sindacati Acea minacciano lo sciopero. Il tutto nell'attesa non solo del voto definitivo dell'Assemblea capitolina che darà il via libera alla vendita delle quote ma anche dell'Assemblea dei soci che si terrà domani. Certamente sarà una sessione quanto meno «vivace». Intanto i consiglieri di maggioranza e opposizione lavorano agli emendamenti, in tutto ne sono stati presentati novantamila e in entrambi gli schieramenti non mancano i mal di pancia verso politiche di partito che, nel bene e nel male si pagheranno alle urne. Ad accendere il fiammifero poi ci ha pensato ieri lo stesso Lamanda che, interrotto più volte dall'opposizione ha replicato duro: «Non si capisce perché ciò che già fanno altri comuni non va bene per noi. La holding significa mettere insieme sotto un'unica struttura tutte le società controllate e le società strumentali senza diminuire il controllo strategico dell'amministrazione. Costituendo la holding - dice Lamanda - si avrà un effetto fiscale immediato di 22 milioni di euro. Non solo. Gli effetti economici attesi di circa 50 milioni di euro nel 2013 e di circa 60 milioni nel 2014». Questo, insieme alla vendita del 21% di Acea, (varrebbe 200 milioni), garantirebbe la tenuta della liquidità capitolina. Quella stessa che, ad oggi mette a rischio anche il pagamento degli stipendi da settembre in poi. Ma l'economia della Capitale non è fatta solo di numeri "freddi". E l'ombra gettata dal vice capogruppo Pd in Campidoglio, Fabrizio Panecaldo, merita senza dubbio di essere schiarita. «L'aver affermato da parte di Lamanda, nel corso della relazione sulla Holding, che si sta procedendo a riportare a 60 i membri dell'Assemblea Capitolina e ad aumentare gli emolumenti, rappresenta un fatto di una gravità senza precedenti - incalza Panecaldo -. Se qualcuno aveva dubbi sulle perplessità e le insoddisfazioni della maggioranza, Lamanda li ha dissipati nel modo peggiore disprezzando ogni consigliere del Pdl e trattandolo come un mercenario. Pubblicheremo su YouTube le affermazioni dell'assessore Lamanda, affinché tutti si rendano conto della gravità delle sue affermazioni e di un modus operandi che nulla ha a che fare con il bene della città». Al di là della veridicità delle frasi di Lamanda, che per chiarezza è bene precisare non decide né sul numero degli eletti né sulle indennità previste, resta il punto delicatissimo di un bilancio che chiederà sacrifici importanti per i romani, a partire dall'Imu, fino alla vendita di una parte di Acea, vissuta come una "perdita di famiglia", e che verrà strumentalizzata da qui fino alle elezioni della prossima primavera. Lo sa bene Alemanno che ieri, dopo l'occupazione dell'Aula e l'annuncio del corteo di sabato ha chiarito: «È vergognosa la disinformazione e la demagogia con cui il Pd, attraverso migliaia di manifesti abusivi e manifestazioni flop si sta muovendo sulla vendita del 20% delle quote Acea. Il Pd di Roma vuole far dimenticare ai romani che anche loro hanno votato a favore della legge del governo Monti che impone queste privatizzazioni. La verità è che nessuno sta vendendo l'acqua dei romani, ma semplicemente si sta ottemperando a una legge dello Stato. L'Acea sarà più forte e rimarrà per il 30% in mano al Comune che continuerà ad esercitare tutti i diritti del socio di maggioranza». La strada però resta tutta in salita.

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