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Il commercio «liberalizzato» fa flop

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Pochi affari anche a causa dello scarso numero di negozi rimasti aperti

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Ilfatto, poi, di aver sfidato il no di sindacati e associazioni di categoria, non ha premiato i negozi che hanno scelto di restare con le saracinesche alzate il giorno della festa dei lavoratori: le vendite sono andate ben al di sotto delle aspettative. Era decisamente un banco di prova, per il commercio, questo primo maggio all'insegna del decreto sulle liberalizzazioni. Nessuna restrizione di orario, nessun limite di apertura anche nei giorni da sempre dedicati al riposo. Ne hanno approfittato in circa tremila, secondo la Confesercenti, vale a dire il 10% del totale delle attività concentrate in Centro e nelle vie più commerciali del XVII Municipio. Sono stati un po' di più, per la Confcommercio, che parla di un 20% di aperture, tra piccoli e grandi negozi, sempre in centro. Perché il resto della città ha decisamente rifiutato il principio di aprire senza limiti. In periferia, infatti, il 95% dei negozi è rimasto chiuso. E su questo dato, le due principali associazioni del settore, concordano. Quello che però fa ancora più riflettere è l'andamento delle vendite di chi ha approfittato della liberalizzazione. Nonostante il pieno di turisti in centro e di romani rimasti in città, sia Confesercenti che Confcommercio parlano di «acquisti ben al di sotto delle aspettative», come a dire che la sorpresa delle serrande dei negozi alzate non è piaciuta poi così tanto agli amanti dello shopping. Ieri, poi, è arrivato anche il giudizio di Alemanno, che ha partecipato alla giunta della Confcommercio e, secondo quanto riportato dal presidente di Federabbigliamento - Confcommercio Roberto Polidori, dopo aver affrontato temi come la semplificazione burocratica, la sicurezza, l'abusivismo, il piano del commercio, ha mostrato tutto il suo scetticismo nei confronti di un decreto che consentirebbe l'apertura dei negozi anche in giornate come il Natale. Un bilancio, dunque, a tinte fosche. Preceduto da aspre polemiche dei principali sindacati, che hanno più volte ribadito il «no» alla liberalizzazione degli orari per le attività commerciali, arrivando a minacciare due giornate di sciopero per evitare che commessi e dipendenti fossero, a loro dire, costretti ad andare a lavorare. E non sono mancati picchetti di protesta alla stazione Termini davanti alle attività rimaste aperte. Poi ci si sono messe le associazioni dei categoria, con botteghe storiche in prima linea a compattare la categoria per il «no» all'apertura del primo maggio. Proteste che non hanno impedito a circa tremila attività di sfidare il fuoco delle polemiche. «Quel dato, in fondo, non è tanto basso – ammette Polidori – anche se fa riflettere di più, a mio giudizio, quello delle chiusure nelle altre zone di Roma. Se consideriamo poi come sono andate le vendite, niente affatto bene secondo quanto ci raccontano i commercianti rimasti aperti, allora bisogna riflettere sul fatto che la liberalizzazione degli orari rappresenti un'opportunità per il settore. Anche il sindaco è apparso piuttosto scettico su questo decreto». Molto più netto il giudizio di Valter Giammaria, presidente della Confesercenti provinciale, che sottolinea «l'inopportunità del decreto nella città più aperta d'Europa». «Ma ve lo immaginate il giorno di Natale con i negozi aperti? - si chiede Giammaria – bisogna tornare ad un commercio normale, superando il cannibalismo della deregulation. Dovremmo tornare alle chiusure domenicali e durante le principali festività».

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