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Un agente su due chiuso in ufficio

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Roma, vigili urbani

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Vigili di prossimità, rotazione biennale di comandanti e vicecomandanti di gruppo, una scuola di formazione professionale stabile, finanziata e organizzata dalla Regione. Sono le tre line base del percorso di trasformazione della Polizia Municipale, in parte sposate in campagna elettorale da Gianni Alemanno, in parte auspicate da alcuni sindacati di categoria. Una rivoluzione necessaria da decenni e che aiuterebbe a ridare credibilità alla categoria dopo i recenti scandali giudiziari. Ma quante sono e che compiti svolgono le giacche blu romane? Nella città eterna operano 7.300 agenti (12.000 in tutto il territorio regionale) suddivisi in quattro turni di sette ore, il primo che parte alle 6,48 e l'ultimo all'una del mattino. A giugno, però, ci sarà la prima prova del concorso che vede 300 nuovi posti disponibili contesi da 50.000 aspiranti «pizzardoni», il 50% laureati. Saranno in servizio entro la fine dell'anno. Il «pattuglione» più cospicuo è quello impiegato la mattina. Metà del personale al lavoro dall'alba alle 21 è utilizzato all'esterno (per viabilità, commercio, edilizia ecc.), il resto in ufficio. L'ideale, però, sarebbe riuscire ad averne per strada una porzione maggiore, diciamo i tre quarti del totale, delegando ai restanti 2000 uomini i compiti prettamente burocratici. Poi ci sono le pattuglie che, nell'arco delle 24 ore di impiego, controllano il territorio dei Municipi (ognuna composta da tre persone) e la squadra incidenti. Se ogni Gruppo ha a disposizione 5-6 pattuglie, il centro storico ne conta una decina. Dalla prima Giunta Rutelli a oggi tutti i tentativi di riordino del Corpo sono falliti. Il vigile di prossimità, o di quartiere, potrebbe però risolvere alcuni problemi. Avrebbe da controllare un'area molto meno vasta di quella dei Municipi, sarebbe responsabile di piccoli interventi (un tombino otturato), potrebbe segnalare ai superiori un incrocio ad alta percentuale di incidenti, o a carabinieri e polizia lo spaccio di droga nella scuola di sua pertinenza (c'è chi ipotizza addirittura l'apertura di presidi all'interno di aule non sfruttate per la didattica). Infine sarebbe inserito profondamente nel tessuto urbano del quartiere e rappresenterebbe un punto di riferimento prezioso per l'Amministrazione. A Milano ci sono 500 «nuclei di prossimità» per un totale di mille uomini e hanno già dato ottimi risultati. Un altro cambiamento, che può avere un effetto sull'eccessiva durata del potere dei comandanti dei Gruppi e quindi sulla loro «fragilità» di fronte ai tentativi di corruzione, è farli ruotare, con i loro vice, ogni due anni. Oggi la carica non ha ufficialmente alcun limite temporale. Per il comando generale si è pensato alla nomina di un alto ufficiale esterno al Corpo, magari proveniente dall'esercito. Ma l'idea è stata più volte accantonata, anche a causa di resistenze sindacali. Sarebbe, infine, importante che i nuovi vigili di prossimità potessero usufruire di una scuola di formazione regionale permanente, mentre attualmente la Regione stipula convenzioni con istituti privati «a progetto» (ad esempio per l'aggiornamento sul nuovo codice stradale). Nella Capitale ce n'è una a Cinecittà, però un'attività del genere andrebbe estesa a tutto il Lazio, dovrebbe offrire corsi pratici e non solo teorici (un poligono di tiro) e usufruire di consistenti finanziamenti regionali. Una «rivoluzione» che potrebbe anche mettere in grado la Municipale di isolare e ridurre le «mele marce» e di restituire prestigio al Corpo. Altrimenti a rimetterci saranno i molti vigili onesti. E già ieri, dopo l'arresto dei loro due colleghi, al I Gruppo si respirava aria di assedio. Il comandante Stefano Napoli non c'è, dicono al secondo piano della sede di via della Greca. Il vice si limita a un «no comment». Fuori dal Comando, qualcuno accetta di commentare la vicenda. «Ci sentiamo sotto tiro, non abbiamo mica ammazzato qualcuno - dice un agente - Facciano tutte le inchieste che vogliono, ma non possono attaccare l'intero Gruppo. Se sono colpevoli, puniscano loro e solo loro». Un altro vigile si lamenta perchè l'accusatore dei colleghi, Paolo Bernabei, non è a suo dire uno stinco di santo. «Ha problemi economici, per questo ora fa il moralista», afferma. Dei colleghi finiti in manette, però, non vuole parlare. «Arrestarli mi sembra eccessivo - commenta una vigilessa - Per pericolo di reiterazione del reato? Assurdo, pensano che da indagati chiedessero altre mazzette?».

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