Coca dalla Colombia Scoperta la cupola
Untraffico milionario di cocaina, eroina, hashish e soldi scoperto indagando dopo una gambizzazione avvenuta nel 2009 e conclusasi ieri con 34 arresti, compresi tre dipendenti infedeli di una ditta di facchinaggio dell'aeroporto di Fiumicino. E ancora, 50 indagati e tre immobili (solarium, sala scommesse e autorimessa) e otto mezzi sequestrati. Per gli investigatori è stato un rompicapo: i gregari della cupola comunicavano in codice e spesso l'ordine era di non parlare. Ovvero di «calma piatta», frase che ha dato il nome all'operazione condotta dalla Compagnia Casilina del maggiore Domenico Albanese e coordinata dal Gruppo di Roma del colonnello Giuseppe La Gala. Al vertice della cupola c'erano due soggetti: uno si occupava di procurare eroina e hashish, l'altro di trafficare cocaina, tramite un'intermediaria sudamericana in contatto coi colombiani. Sono Aldo Mencarelli e Romolo Petani, detto «lo Zio». Era un suo uomo quello ferito la sera del febbraio 2009 nell'androne di un palazzo della zona Don Bosco con tre colpi di pistola, due alla gamba destra, il terzo all'altra. La vittima era Alessandro Guidi, conosciuto come «Ciccio». Era un uomo di Petani e quest'ultimo si diede subito da fare per calmarlo e dirgli che era tutto a posto. Ma non per i carabinieri, che cominciarono le indagini su quell'avvertimento. Si era trattato di una partita di droga non pagata? Oppure sparita? I militari cominciarono a tenere a bada il soggetto. E pare che la banda lo avesse immaginato. Perché a partire da allora i malviventi avevano cominciato a parlare in codice. «Calma piatta» significava assenza di forze dell'ordine. «Bambina» era il pacco della droga, spalmata su un telo tipo lana di vetro che avvolgeva il bagaglio, contenuto in un'altra valigia, che i tre addetti infedeli potevano riconoscere perché dalla Colombia avevano ricevuto in anticipo la foto di una bambina accanto al borsone. Se per caso uno dei gregari era stato arretato, gli altri dicevano «persona in ospedale». E se c'era il rischio che potesse parlare con gli investigatori, allora l'espressione era che aveva una «febbre contagiosa». Dalla Colombia, la cocaina arrivana su aerei cargo, in bagagli il cui destinatario era una donna della banda, ex dipendente dell'impresa di facchinaggio dello scalo aeroportuale. Superava le dogane grazie a tre addetti infedeli dell'impresa. Lo stupefacente veniva ritirato dalla donna, prelevato dai «basisti» (Miccoli, Proietti e Servanti) e consegnata al «chimico» (DI Benedetto, detto Lello). Quasi tre etti di cocaina spalmata su una sottile superficie da imballo diventavano un chilo di polvere tagliata. Chi si preoccupava di prendere in carico la merce lavorata erano direttamenti i capi. Erano loro portavano la merce ai «custodi» (come Alessandro Guidi), sodali che avevano il compito di tenerla a disposizione della rete di spacciatori. Una rete ben tessuta i cui fili hanno portato a Monteverde (presunto pusher Ivano Romagnoli, il Barone), Cinecittà (Stefano De Palma «Pepe», Franco Finella «Zito», Alessandro Nardi «er Porpa» e Umberto Napolitano «Crik») e Montesacro (Bevilacqua). «L'inchiesta dimostra cosa c'è dietro gli atti violenti che si verificano a Roma - precisa il comandante provinciale Maurizio Detalmo Mezzavilla - Non c'è una lotta criminale per il controllo del territorio ma spesso si tratta di regolamenti di conti interni a bande locali». Concetto sottolineato dal colonnello La Gala: «Le indagini hanno stroncato un traffico internazionale di droga, un giro d'affari gestito da romani, rivolto a tre quartieri della città».