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Erica Dellapasqua Una fotografia inedita.

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«Nonc'è da stupirsi troppo - sorride l'imprenditore - del resto è da quando ho messo piede qui che ripeto che Roma è come Palermo». Lei è arrivato a Roma per voltare pagina. Invece? «Invece, da buon siciliano, mi pare di aver ritrovato l'esatta fotocopia di tante altre città del sud. Da noi si chiama Camorra, Cosa Nostra, qui non lo so ma è qualcosa di molto simile». Cosa glielo fa dire? «La mia esperienza. Ero arrivato a Roma per ricostruirmi un'attività dopo che, a Palermo, non mi era stato più possibile lavorare. Mi sono guardato un po' attorno e mi sono imbattuto in un intermediario che mi proponeva licenze bloccate o sospese a prezzi che variavano dai 120 ai 150mila euro. Ho capito subito che qualcosa non andava, quindi ho detto «no, grazie». Ha denunciato l'episodio? «No, semplicemente perché non mi sono sentito parte offesa, né ho la certezza che quell'intermediario non fosse un millantatore. Non mi ha fatto nomi, né ha detto nulla che avrebbe potuto collegare tutto a una qualche istituzione, quindi ho lasciato perdere». Eppure, da simbolo dell'anti-mafia, la prima cosa che lei consiglia è di denunciare tutto. «Sì, e lo confermo, ma per farlo bisogna avere elementi certi. Chi mi dice che quella persona alla fine davvero aveva licenze da vendere?» Se non gli ha dato tanta importanza, perché parlarne col presidente del I Municipio? «L'ho incontrato il giorno dopo l'inaugurazione del mio locale. Quando mi ha chiesto come mi trovavo a Roma, il discorso è scivolato sulle licenze, peraltro il mio caso risaliva al 2010, ma non mi sembra di avergli raccontato nulla che lui, o tutti gli imprenditori di Roma, non sappiano». Cioè cosa? «Che chi si presenta su questa piazza per la prima volta trova il mercato chiuso. Tutti rispondono che le licenze non ci sono. Così gli intermediari ti propongono l'affare, che poi affare non è. Come è possibile che, anche con le ultime novità in tema di liberalizzazioni, ci sia ancora il problema delle licenze a numero chiuso?» Che consiglio da a un imprenditore che vuole investire a Roma? «Diffidare dalle scorciatoie. Spesso, soprattutto se si è giovani e inesperti, si può cadere nei tranelli che hanno teso anche a me, che ho fiutato solo perché ci sono già passato. Se capita, denunciare tutto, perché la mafia si combatte partendo dal basso, dal cittadino». E le istituzioni, invece, come dovrebbero intervenire? «Per prima cosa, un buon funzionamento della Magistratura, non ci possiamo certo permettere che le persone stiano zitte perché sanno che la pena, per esempio per il tentativo di estorsione, non è certa, e se li trovano fuori dopo tre mesi. Poi, la burocrazia, più il sistema è intricato più ci sono margini di manovra per i malintenzionati. Infine, la politica, che deve tenere in giusta considerazione gli sforzi di chi si decide a parlare nonostante la paura». Cosa deve fare la politica? «Non sminuire il fenomeno e non lasciare solo chi denuncia. A Palermo, inizialmente, dopo di me altri si sono decisi a parlare. Eravamo circa 40 imprenditori quando tutto si è fermato perché la risposta del legislatore non c'è stata. Se non stanno in galera, il sistema scoraggia tutti». Dopo Palermo, sarà simbolo dell'anti-mafia a Roma? «No, desideravo tutt'altro. Quando sono arrivato qui tutto desideravo fuorché ritrovarmi al centro di queste storie. Per me e la mia famiglia Roma deve essere un'isola felice». E lo è? «Vedremo».

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