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In manette la banda di piazza di Spagna

Un fermoimmagine della rapina all'Unicredit di Piazza di Spagna

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L'ex terrorista nero con la pettorina dei vigili urbani, l'uomo col cerotto sul naso e quello alto un metro e 88 centimetri. Sono stati arrestati i membri della gang che il 19 dicembre scorso hanno razziato circa 300 mila euro dalla banca Unicredit di piazza di Spagna. Un altro soggetto finito coi bracciali ai polsi faceva da «palo». Altri due complici sono ricercati. In manette Silvano Lanciotti, 51 anni, col cerotto sul naso, con precedenti per rapina, armi, droga e ricettazione. Il «pennellone», Nicola Passacantando, 56 anni, noto per rapina, furto, armi, ricettazione ed evasione. L'ex Nar Claudio Ragno, cinquant'anni, già nei guai per associazione sovversiva, banda armata, rapina, furto, ricettazione, resistenza a pubblico ufficiale e spaccio. E Walter Federici, il palo, 39 anni, con precedenti per armi: nella sua casa a Fregene i militari hanno trovato alcuni berretti di lana usati il giorno del colpo e il fratino della Municipale. Gli investigatori sono arrivati a loro partendo dai dati antropometrici dei volti ripresi dalle telecamere di sicurezza montate all'interno dell'istituto. Venuta fuori la prima possibile identità, i carabinieri hanno accostato due indizi. Il primo: le testimonianze di chi era all'interno di Unicredit, otto clienti e quattro dipendenti minacciati con le armi. Il secondo: le frequentazioni tra i quattro banditi, prima una coppia poi un'altra, rilevate davanti a diverse banche di Roma, in vari quartieri della città. Contatti che i militari avevano registrato durante normali posti di blocco voluti dal colonnello del Gruppo dei carabinieri di Roma, il colonnello Giuseppe La Gala. Come quello del settembre 2011 nei dintorni di una banca all'Aventino: c'erano Lanciotti e Passacantando. Il modus operandi della banda infatti era basato sulla perfetta conoscenza dell'obiettivo da colpire. Informazioni che i quattro riuscivano ad avere entrando più volte nell'istituto. Com'è stato nel caso di piazza di Spagna. Sapevano che il metal detector della banca non funzionava. E sapevano che fino a tre giorni prima dell'irruzione le telecamere erano guaste. Però hanno funzionato il 19 dicembre. E non solo quelle dell'istituto, ma anche dei varchi del Tridente dalle quali si è visto l'arrivo in motorino di Federici e Ragno col fratino da vigile urbano indossato sotto un giaccone aperto. Quel giorno, alle 15,25 è lui a entrare per primo all'Unicredit. In fila indiana lo seguono gli altri due, Lanciotti e Passacantando. Federici resta fuori a fare da «palo» assieme agli altri due ricercati. Ragno mette il braccio attorno al collo di un cliente, un commesso di una boutique di via Condotti che doveva depositare denaro. I tre hanno cercato di travisare i volti. Chi col berretto di lana in testa, chi con la parrucca, chi col cerotto da sportivo sul naso. L'ex Nar arriva nel corridoio della banca dove costringe otto clienti a sedersi: «Se collaborate non vi succederà niente», dice. Con sé ha una pistola, risultata rapinata il 15 febbraio 2010 a un vigilante legato e immobilizzato nel money trasfer dell'Esquilino doive prestava servizio. Raduna quattro impiegati e li chiude in ufficio. Lanciotti va dietro al banco e costringe il cassiere a dirigersi alla cassaforte. Il bancario apre il forziere, il rapinatore afferra una cassetta, tira fuori i trecentomila euro e li mette nel trolley che si tira dietro Passacantando. I banditi vogliono evitare di uscire dall'ingresso principale. I tre chiedono alla direttrice di accompagnarli all'uscita secondaria che dà su una porta condominiale su piazza di Spagna e se ne vanno, «coperti» dai «pali» che controllano l'eventuale arrivo delle forze dell'ordine. Un colpo lampo. È accaduto tutto in quattro minuti: dalle 15,25 alle 15,29. Roba da professionisti. Anche se l'accusa è riferita al colpo all'Unicredit di piazza di Spagna, gli investigatori del maggiore Pitocco vogliono approfondire le indagini. Il sospetto è che la banda abbia compiuto altre rapine. I quattro arrestati ieri non hanno detto una parola. Ai carabinieri che li portavano via davanti agli occhi dei propri familiari, gli indagati non hanno fiatato. Anche il giorno del colpo sono stati attenti a non dire troppo:con sé non avevano telefoni cellulari.

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