La difesa di Busco punta su Dna, movente e orario del delitto
Lasuperperizia disposta dalla Corte che sta giudicando Raniero Busco per l'omicidio dell'ex fidanzata ricalca quasi perfettamente i motivi d'appello presentati dai suoi legali, l'avvocato Paolo Loria e il professor Franco Coppi. Possibile contaminazione dei reperti, dubbi sul presunto «morso» al seno della vittima e sulle tracce biologiche e slittamento dell'orario della morte sono, infatti, elementi contenuti nel documento dei due penalisti. Vediamoli. Coppi e Loria fanno notare come anche il consulente dell'accusa, nel processo di primo grado, riconosca «che lo stato di conservazione degli indumenti» (reggiseno, corpetto e calzini di Simonetta Cesaroni) non sia «stato rispettato con la dovuta ortodossia» e non escludono «la possibile contaminazione» degli stessi. Sussiste, dunque, un «ragionevole dubbio in merito alla purezza probatoria» dei reperti e alla «validità dei risultati scientifici ad essi relativi». Stesse conclusioni a cui sono giunti i tre superperiti. Per quanto riguarda le tre tracce di Dna su corpetto e reggipetto (una sola riconducibile all'imputato), «ad oggi non è stato conclamato se siano derivanti da saliva, sudore o altra fonte» e lo stesso consulente del pm, Garofano, specifica che si è giunti a quel risultato per un «discorso logico-deduttivo» e senza «un'evidenza chimica». Passiamo al presunto morso che Busco avrebbe dato all'ex fidanzata prima del delitto. La tesi dell'accusa è: se le tracce di dna sono di saliva e sono in prossimità del morso, e questo è stato inferto al momento dell'omicidio, anche le tracce sono state lasciate durante l'assassinio. Sia il collegio difensivo, sia i periti della Corte dubitano che si tratti di un morso. Lo stesso medico legale dell'epoca, Carella Prada (oggi consulente del pg) in udienza dichiarò: «...non mi sono mai sognato di dire che era un morso...». Ma, in ogni caso, non essendo stato fatto alcun prelievo cutaneo sul capezzolo, «cade qualsiasi certezza circa il presunto legame fra la saliva e il morso», scrivono i due avvocati. Inoltre, se Busco aveva lasciato tracce biologiche su tali indumenti, li avrebbe portati via. Cosa che non è avvenuta. Quindi, «l'aggressore "non temeva" il corpetto e il reggiseno». Anche sull'ora del delitto le conclusioni dei superperiti e della difesa collimano. I secondi la fissano fra le 18 e le 19 del 7 agosto 1990. Loria e Coppi sottolineano che, in base alla testimonianza della Berrettini, la telefonata fra lei e Simona è finita alle 17,50 e l'aggressione non può essere cominciata prima delle 18, concludendosi intorno alle 18,30. Se aggiungiamo «almeno un'ora per la pulizia dell'ambiente» (sotto i calzini della vittima c'era segatura) e 36 minuti affinché Busco arrivasse da via Poma al bar di Morena dove è stato visto alle 19,45, i conti non tornano. La difesa si concentra, poi, su alibi e movente. E anche in questo caso, per Coppi e Loria, la logica viene forzata e il verdetto di primo grado interpreta i dati «secondo un teorema già prestabilito». I Cesaroni e i familiari di Busco, che sta vivendo questi giorni con comprensibile ansia, non hanno voluto commentare la perizia. Solo la madre dell'operaio Alitalia, Giuseppina Teatini, ha ribadito che «purtroppo non è ancora finita». E ha aggiunto: «Abbiamo sofferto tanto. Mio figlio è bravo e buono, ma io sono la mamma e non vengo creduta». Vedremo nelle prossime settimane se a credere A Raniero sarà anche la Corte d'assise d'appello.