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Via Crucis di sei mesi per aprire un locale

Veduta dall'alto della capitale

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Un tecnico per il certificato di agibilità del locale, un altro che certifica l'insonorizzazione, un altro ancora per la planimetria, uno per gli adempimenti in materia igienico-sanitaria e uno per il certificato di prevenzione incendi se si vuole avviare, ad esempio, un locale da ballo o in caso di locali più grandi di 250 metri quadrati. Spesa prevista: tra tremila e settemila euro, a seconda del tariffario dei vari professionisti abilitati, più 307 euro di istruttoria da versare al Municipio competente. Mesi per ottenere tutti i documenti, anche cinque o sei. Poi bisogna leggersi attentamente tutte le norme di riferimento che consentono di compilare in modo corretto il modulo da inviare on line, perché basta un'inesattezza o una dimenticanza per far allungare non di poco i tempi di conclusione del procedimento. Siamo nel caso della delibera 35/2010, cosiddetta licenza a punti. Aprire un'attività con licenza di somministrazione, nella pratica, è tutt'altro che facile. Soprattutto se non ci si avvale, come invece capita nella stragrande maggioranza dei casi, di agenzie specializzate che sanno, evidentemente, come muoversi e aggirare gli ostacoli e nel giro di un'ottantina di giorni assicurano il risultato. Ma se un imprenditore vuole cavarsela da solo? Allora, nonostante i tentativi di snellimento burocratico con il Suap (sportello unico attività produttive) voluto dal Comune, e la Scia (segnalazione certificata di inizio attività) da inviare on line, è meglio armarsi di tanta pazienza e, soprattutto, di tanto tempo. Con la Scia, entrata in vigore il primo luglio del 2011, si dice che un imprenditore può avviare la sua attività in un solo giorno. Vero, anche se in realtà i giorni sono da tre a cinque. Non si specificano, però, i tempi «a monte», quelli cioè che occorrono per preparare tutti i documenti da allegare al modulo on line e quelli che si prende il Municipio, soprattutto il primo, dove la carenza di personale e di risorse è a dir poco «cronica», per avanzare eventuali eccezioni, una volta presentata la domanda. La legge li quantifica in 90 giorni, dopodiché vale il principio del silenzio-assenso. Ma è capitato che il Municipio «rompesse il silenzio» ed eccepisse anche dopo questo termine, con la conseguenza che per l'imprenditore iniziasse il calvario dei ricorsi e delle sentenze, per poi ritrovarsi, magari dopo mesi di battaglie legali e investimenti fatti, a dover chiudere. Cosa serve dunque per avviare un'attività con licenza di somministrazione? Bisogna avere l'autorizzazione in materia edilizia, urbanistica, igienico-sanitaria, di inquinamento acustico e atmosferico, di destinazione d'uso dei locali e degli uffici, di sicurezza e prevenzione incendi, se il locale da avviare è un locale da ballo, di tutela dell'ambiente. Non può farlo di certo il singolo imprenditore, serve l'intervento di tecnici abilitati, che hanno un costo e che fanno passare del tempo, a volte anche un paio di mesi, tra accoglimento della pratica e realizzazione della stessa. Perché tutto questo tempo? Perché alcuni di questi «lasciapassare» sono piuttosto difficili da ottenere anche per tecnici abilitati, ad esempio il certificato di agibilità del locale. Giustissimo come principio, se non fosse che, spiegano dagli uffici tecnici della Confesercenti, «innanzitutto questo certificato dovrebbe già averlo il Comune se facesse un lavoro di prevenzione degli edifici come dovrebbe, e poi perché non basta averlo per il singolo locale ma serve per l'intero condominio dove l'esercizio pubblico è ubicato. Si capisce bene come fare questa richiesta a un amministratore condominiale faccia slittare i tempi». In caso di apertura di un locale da ballo con licenza di somministrazione in primo Municipio, i tempi si allungano ulteriormente. Il certificato di prevenzione incendi, fatto per gli altri locali da un tecnico, a cui dovrebbe seguire dopo 60 giorni il controllo dei vigili del fuoco, è sostituito infatti dal parere obbligatorio del IV Dipartimento, rilasciato da una Commissione di vigilanza, che deve verificare la sussistenza di requisiti di sicurezza mediante sopralluoghi da parte di polizia municipale e vigili del fuoco. E per questo servono, in media, dai due ai quattro mesi. Ma i pezzi di carta e le autorizzazioni non finiscono qui. Delibera 35 alla mano l'imprenditore, solo di fronte all'«impresa» di aprire, deve sapere che il rilascio dell'autorizzazione è soggetto all'osservanza per il locale dei requisiti strutturali, che significa: assenza di barriere architettoniche, raccolta differenziata dei rifiuti tramite cassonetti differenziati e per locali di superficie superiore a 250 metri quadri uno spazio dedicato ai rifiuti non organici; la dimensione del locale dove avviene la manipolazione degli alimenti non inferiore a 16 mq per gli esercizi di somministrazione di alimenti e bevande con cucina (se senza cucina non inferiore a 8 mq). Un nuovo locale che apre oggi deve rispettare i criteri di qualità, che non sono altro che punteggi da assegnare volta per volta al locale che ha, ad esempio, il fasciatoio, climatizzatori di classe energetica A+ e parcheggio per i clienti, fino ad arrivare a 170 punti, 155 e 120, a seconda si tratti di un esercizio ubicato nelle zone più prestigiose della Capitale o in quelle più periferiche. È l'imprenditore che, attraverso l'autocertificazione, attesta che il locale è in possesso di questi criteri di qualità. Spetterà poi al Municipio, o meglio agli organi preposti al controllo, verificare la sussistenza dei requisiti. E siamo all'ultima fase, l'istruttoria. Le domande vengono via via esaminate dal Municipio secondo l'ordine di ricezione, intanto l'imprenditore invia tutta la documentazione on line al Suap del Comune e non appena in possesso della ricevuta telematica può aprire. Con il punto interrogativo, però. Perché il Municipio può sempre in un secondo momento opporsi, se verifica che qualcosa non va o che l'imprenditore non ha diritto ad avviare l'attività, (può ad esempio aver fatto domanda in una delle zone vietate dalla delibera) e quella ricevuta telematica non serve a rivendicare diritti. C'è scritto espressamente sul sito del Suap Roma: «Il possesso della ricevuta telematica non costituisce di per sé titolo per svolgere regolarmente l'attività». Tutto semplice, no?

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