Quando il bullo diventa un minicriminale
Duecomportamenti diversi e separati ma che, sempre più spesso, si sovrappongono. Dall'inizio dell'anno, nella Capitale sono stati già quattro gli episodi di violenza che hanno coinvolto minorenni, statisticamente più di uno al mese. Si va dalle liti a mano armata, come quella che ha visto protagonista una ragazza di Ostia che ha minacciato con un coltello una coetanea, alle rapine di gruppo, come quelle delle baby-gang di Tor Pignattara e della Caffarella. Pochi giorni fa la polizia ha fermato un «branco» di adolescenti che derubava i coetanei incontrati nel centro commerciale «Porte di Roma». Ma, in questo caso, alla rapina si aggiungeva la gogna, perché le vittime venivano «sfregiate» con un pennarello, oppure costrette a spogliarsi e quindi «immortalate» in foto e video. Due gli obiettivi: umiliarle e godersi lo spettacolo delle mortificazioni inflitte dalla banda. Per contrastare il fenomeno, il Codici ha istituito lo Sportello contro il bullismo, che si occupa di raccogliere le segnalazioni e fornire assistenza alle vittime dei soprusi. Dai contatti registrati emerge che nell'86% dei casi i bulli entrano in azione nei bagni, nei corridoi, nelle palestre e nei cortili delle scuole. Il 14% degli atti si consumano nelle aule, in particolar modo durante la ricreazione o il cambio di insegnante. Fin qui i numeri. Ma per intervenire è necessario capire, conoscere le cause. «Il sistema impone un'immagine prestazionale, brillante e competitiva e se lo standard non è compatibile con la realtà, i giovani si sentono esclusi e diventano vittime di un comportamento di gruppo violento, di rituali di sottomissione e scherno con un mix voyeristico che dà leadership all'individuo più aggressivo e determinato», spiega il sociologo Maurizio Fiasco. «Se i modelli di costruzione dell'identità sempre più prestazionali, aggressivi ed esibizionistici, l'identità soddisfacente è vincente in quanto aggressiva», continua Fiasco. In tutto questo gli adulti che ruolo hanno? «Siamo di fronte a un estinguersi progressivo delle competenze educative degli adulti a ogni livello: familiare, scolastico e di vicinato, perché nei quartieri della metropoli c'è una grande povertà di capitale sociale», sottolinea lo studioso. Una carenza relazionale che riguarda i genitori, i quali «non interpretano i figli, mentre lo fanno i creativi di pubblicità e marketing»; l'istruzione, basata su una «comunità scolastica con una bassa competenza sulle dinamiche giovanili»; gli agglomerati urbani senz'anima dove i ragazzi vivono. Gli adulti, insomma, dovrebbero assumersi le loro responsabilità, «riconoscendo» l'adolescenza e ragionando sui rapporti tra le generazioni. La società deve smettere di «vezzeggiare i giovani come consumatori e non considerarli una risorsa, deve dare spazio al loro processo di crescita, al loro diritto alla riservatezza, accettando il processo di formazione della personalità - conclude Fiasco - Invece accade che questi ragazzi diventano protagonisti nei programmi delle De Filippi ma non sul pacoscenico del loro quartiere. La società degli adulti non gli affida una missione, un compito. Loro non protestano e non collaborano. E vivono in un limbo».