«Lo abbiamo visto noi Sembrava un manichino»
Abbiamosubito pensato che si era suicidato. I piedi quasi strusciavano a terra, la corda era lunga e attaccata a quel gancio in alto. Vicino al corpo c'era una specie di mobile, una mezza cassapanca. L'avrà usato per salirci su e poi lasciarsi cadere, abbiamo pensato». È la testimonianza di una delle persone che domenica scorsa hanno trovato in un capannone alla periferia nord di Roma il cadavere impiccato di Mohamed Nasiri, uno dei due marocchini ritenuti i killer del commerciante cinese Zhou Zeng e della figlia Joy di 9 mesi. L'uomo, che preferisce non dire il suo nome, stava partecipando a una partita di soft air, il gioco di guerra simulata che si svolge ogni domenica nei campi intorno a quel casolare al 14/esimo chilometro di via di Boccea. «Eravamo in quattro, io, il vicepresidente del club e altri due - racconta il testimone - Erano le 9.30 del mattino, stavamo per iniziare la partita e siamo andati al capannone, che chiamiamo "il capanno dei morti" perchè ci vanno i giocatori "uccisi" per non intralciare gli altri. Abbiamo visto che la saracinesca era mezza alzata. Siamo scivolati dentro e abbiamo visto quel corpo in fondo, a una ventina di metri, sotto un arco quadrato, attaccato al gancio in alto». Nei pressi del corpo c'era un mobile, «come un pezzo di cassapanca, che avevamo messo noi per arredare in qualche modo il capanno. Ci sarà salito sopra e l'avrà spostato con le gambe per impiccarsi, abbiamo pensato poi». Il cadavere di Nasiri aveva indosso «dei jeans nuovi con una cinta che sembrava di marca, una maglietta nera e delle scarpe - racconta il testimone - Era ben vestito. Sul divano che c'è nel capannone aveva poggiato un giaccone. Se lo sarà tolto prima di impiccarsi». Intorno al corpo penzolante del 30enne marocchino, l'appassionato di soft air ha notato «una busta di latte, un telefonino, alcune banconote da 50 euro e altre cose che non ricordo bene».