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La liberalizzazione vale 321 milioni I neolaureati ne vogliono una fetta

Farmaci

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È un mercato ghiottissimo quello dei farmaci di fascia C. Nel Lazio vale 321 milioni di euro l'anno. Una cifra che esce dal portafoglio dei cittadini, perché le medicine di questa classe non le rimborsa la Regione, anche se per acquistarle serve la prescrizione medica. Oggi si vendono solo in farmacia. Con la liberalizzazione del settore potrebbero essere venduti anche in parafarmacia e nei corner presso i supermercati. I farmacisti sono contrari. Sono grandi numeri. E si capisce quali interessi vi siano sul tema della liberalizzazione del settore farmaceutico. Perché i farmaci di fascia C, valgono il 10% della spesa farmaceutica totale che nel Lazio è di 2 miliardi e 588 milioni di euro (fonte Iss), compreso un miliardo e 387 milioni per la fascia A (su ricetta rossa) e i 212 milioni di euro per l'automedicazione, una cifra che è una volta e mezza la Finanziaria della Regione Lazio (1,7 miliardi di euro). Alla liberalizzazione di questa fetta di mercato guardano anche i giovani farmacisti, trentenni che lavorano da dipendenti a 1.200 euro al mese. Perché l'eventuale (e sperato) doppio canale di vendita dei farmaci di fascia C darebbe una boccata d'ossigeno alle parafarmacie, che oggi campicchiano coi farmaci da banco e senza prescrizione. Invogliando le giovani generazioni a trasformarsi in imprenditori. Oggi ognuna delle 750 farmacie romane impiega almeno due giovani farmacisti, senza un'associazione che li rappresenti. «Eppure dietro il bancone di farmacia ci siamo noi a dispensare consigli ai cittadini-pazienti» dice Elena Maria Flati, 34 anni, da 5 anni nella storica farmacia Sant'Agata a piazza Sonnino di Maurizio Sarcinelli. Ma non la pensa come il titolare. «Sono una farmacista non titolare - comincia Flati - e penso che non si riducano i posti di lavoro per i farmacisti con le liberalizzazioni. Potrebbe cambiare il luogo di lavoro e questo potrebbe non essere gradito a molti di noi». La sua è una voce rappesentativa dei giovani colleghi. Ma senza una frase da rettificare Flati non sarebbe uscita allo scoperto perché, dice «è difficile dire la nostra in un momento di crisi come questo, e in un ambiente di lavoro così ristretto». La rivoluzione di cui tanto si discute per lei è un bene. «Penso che sia necessario sbloccare una situazione che è ferma dal medioevo. Forse la via della liberalizzazione dei farmaci di fascia C non favorisce il cittadino e favorisce la gdo (cioè i supermercati, ndr.), forse non ci saranno le riduzioni di costo sperate e forse avverranno solo nella gdo ed è probabile che molte farmacie chiuderanno o licenzieranno, ma in quanto dipendente e collega di farmacisti che, per far valere i propri studi, hanno aperto una parafarmacia ritengo che qualcosa deve essere fatto per smuovere una montagna immobile».   C'è una generazione che aspetta. «Per quel che riguarda me ho due lauree specialistiche (Chimica e Tecnologia Farmaceutiche e Scienze della Nutrizione Umana). Ho conseguito la seconda laurea proprio per avviarmi verso un'attività privata ed uscire dal settore delle farmacie che ad oggi è statico e senza alcuna prospettiva di crescita per chi è collaboratore dipendente. Ma nessuna persona della mia età (34 anni) con gli stipendi che competono ad un farmacista collaboratore - continua - ha la possibilità di acquistare una licenza per aprire una farmacia, a meno che non sia ricco di famiglia, tanto meno a Roma, in cui peraltro i concorsi pubblici per l'assegnazione farmacie sono molto più che rari». Non resta che la fuga. «Ho amici che si sono trasferiti in Inghilterra - continua Flati - ed anche io mi son trovata al bivio, sono rimasta per motivi familiari. La parafarmacia è l'unica arma del farmacista senza grande portafoglio - farmacista-non-di-famiglia - per poter avanzare professionalmente ed essere imprenditore autonomo». Si fa di tutto per impaurire il cittadino-paziente. Ma, replica Flati «il farmaco di fascia C che esce dalla farmacia per entrare in parafarmacia verrà sempre dispensato da un farmacista. Il problema semmai sta nel messaggio che arriva al cittadino, per il quale storicamente la farmacia distribuisce farmaci e qualsiasi cosa esca da tale canale nella propria rappresentazione mentale diventa esente da effetti collaterali come se fosse "meno medicinale" rispetto agli altri. Però un titolare di farmacia ed uno di parafarmacia hanno conseguito lo stesso titolo di studi e sono entrambi abilitati all'esercizio della professione. E' nella comunicazione al cittadino che si giocano i cambiamenti che sono in atto».

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