In diecimila al corteo per Zhou e Joy
«Ju jue baolì, yan chen shong shou». «No alla violenza, vogliamo sicurezza». Lo slogan risuona come un mantra lungo tutto il corteo, dall'Esquilino a Tor Pignattara. I cinesi, diecimila secondo gli organizzatori, lo urlano per due ore senza sosta mentre marciano pacificamente sull'asfalto della Capitale che mercoledì sera si è tinto del sangue di Zhou Zeng e della piccola Joy. Due vite stroncate da un'unica pallottola calibro nove in via Alò Giovannoli, nel cuore di questo quartiere multietnico dove la comunità orientale negli ultimi anni si è diffusa a macchia d'olio, aprendo negozi di alimentari e souvenir, bar e ristoranti. E sportelli di money transfer, come quello dell'uomo ucciso da una coppia di balordi. Il corteo parte da piazza Vittorio alle 15,30. Molti stringono fra le dita margherite, crisantemi e rose rigorosamente bianchi. I fiori del lutto in Cina. «Stop killing», «Vogliamo giustizia», recitano alcuni cartelli. Un interminabile striscione, sempre bianco, è ricoperto da migliaia di firme. Nelle prime file, vestiti di nero, uomini e donne mostrano le foto delle due vittime. Sotto quella della bimba si legge: «Nel paradiso non c'è violenza. Riposa in pace». Il corteo imbocca via Principe Eugenio, passa sotto Porta Maggiore, si snoda sulla Casilina. Molti si affacciano alla finestra per guardare. Non hanno mai visto così tanti cinesi insieme. Qualcuno comincia a distribuire candele. Altri stringono in mano una copia del giornale «Nuova Cina» che riporta in prima pagina la notizia del duplice omicidio. E parla di una «comunità colpita quotidianamente da atti criminosi di cui questo è stato il più vile». È il clima che si respira tra i manifestanti che, al di là degli attestati di solidarietà, si sentono nel mirino della criminalità. E del razzismo. «Tanti immigrati negativi vengono qui e commettono crimini», dice un ragazzo. «Se succede qualcosa ai cinesi non gliene frega niente a nessuno», aggiunge un altro con accento romanesco. «Non possiamo stare a guardare, ci vuole più sicurezza - invoca Xin, 15 anni - Bisogna fare qualcosa». Ma cosa? «Scendere in piazza, come oggi, e combattere il razzismo - continua - A scuola qualche volta mi dicono "brutto cinese". Ma io non rispondo neanche: se sono così da ragazzi, non possono migliorare...». «I cinesi sono guardati male, si pensa che abbiano molti soldi - spiega una ragazza - e il rapporto con gli italiani è peggiorato, forse per colpa della crisi». Non si sentono protetti i migranti venuti dalla Repubblica Popolare. «Ho un bar sulla Casilina, non lontano da via Giovannoli - racconta Fiona mentre percorriamo via del Pigneto - Ho subito tre furti e, l'ultima volta, la polizia non è voluta neanche venire a vedere. Noi non siamo importanti per voi italiani». Ma Claudio, 16 anni, è italiano e sfila accanto a loro: «L'ho letto sul giornale e sono venuto - dice - Quello che è successo è sconvolgente. Non è possibile morire a nove mesi così, con un colpo in testa per una rapina». Come la madre di Vanessa Russo, uccisa con un colpo d'ombrello da una romena nel 2007, che per un tratto si unisce al corteo: «Ero sul bus e ho deciso di scendere e partecipare - spiega Rita Pozzato - Ci vogliono pene più severe. Alla mamma di Joy voglio dire: forza e coraggio», conclude. La gente, osserva la portavoce della comunità cinese Lucia King, ormai è esasperata. C'è chi ha subito sei-sette rapine o scippi». La fiaccolata gira a destra per via Tempesta. E all'altezza di via Giovannoli, luogo del delitto, un gruppetto si raduna accanto all'edicola, depone fiori, accende altre candele. Sotto l'abitazione delle vittime la cognata di Zhou Zeng si inginocchia piangendo e si dispera, consolata da amici e parenti. Gli abitanti di Tor Pignattara e altri romani si uniscono ai cinesi e insieme raggiungono largo Bartolomeo Perestrello. Parlano le autorità municipali, cittadine, provinciali e regionali. Poche frasi per esprimere solidarietà e vicinanza. La manifestazione è conclusa. La gente si allontana. Ma per molti cinesi la giornata non è finita. Si deve tornare a lavorare.