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Mandato di cattura per i killer dei cinesi

Il procuratore aggiunto Pierfilippo Laviani e il procuratore capo Giancarlo Capaldo (Foto Gmt)

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Hanno i loro nomi, le loro impronte, il loro dna. Hanno perfino un filmato che li ritrae a volto scoperto. Manca solo il finale e liberatorio scatto delle manette ai polsi. Ma, anche se mai come in questo caso il luogo comune «gli assassini hanno le ore contate» corrisponde a verità, il timore degli investigatori è che i due maghrebini responsabili del duplice omicidio di Tor Pignattara siano riusciti a fuggire all'estero, forse nel loro Paese d'origine, e che quindi la loro cattura non sia così imminente e scontata. Oltre a ribadire o rettificare notizie già pubblicate sui giornali e a stigmatizzarne la fuga, che potrebbe aver agevolato quella dei due ricercati - hanno sottolineato gli inquirenti - ieri carabinieri e magistrati che seguono l'inchiesta hanno convocato i giornalisti in Procura per comunicare che nei confronti dei presunti killer è stato emesso un provvedimento di fermo. All'incontro erano presenti il procuratore capo Giancarlo Capaldo, quello aggiunto Pierfilippo Laviani, il sostituto Annamaria Teresa Gregori, il comandante provinciale dell'Arma Maurizio Mezzavilla e il responsabile del Reparto operativo Salvatore Cagnazzo. Mezzavilla ha ricostruito la dinamica dei fatti. I due (probabilmente marocchini, ma il dettaglio non è stato confermato) affrontano i coniugi cinesi alle 21,45 del 4 gennaio in via Alò Giovannoli, dove la famiglia abita. Hanno il casco calato in testa, uno impugna una pistola calibro 9 (forse una rivoltella, il bossolo non è stato trovato), l'altro un coltello o un taglierino. A questo punto qualcosa va storto. Mentre un bandito colpisce al braccio con la lama Lia Zheng, taglia la tracolla della borsa (e si ferisce alla mano destra), le due vittime reagiscono. Dalla pistola parte un solo, micidiale colpo, che trapassa il cranio della bimba e s'infila nel petto del padre Zhou Zeng, che la tiene in braccio, all'altezza dello sterno. Per Joy, appena nove mesi di vita, e suo papà non c'è niente da fare. Lia Zheng dirà che i rapinatori parlavano italiano. Ma non è attendibile, è sotto shock. Dopo la «rapina degenerata» in omicidio, come la definisce Mezzavilla, gli assassini fuggono a piedi, salgono su un'Honda 300 rubata ad ottobre e raggiungono la baraccopoli di via Fieramosca, a Casal Bertone. Qui lasciano le due borse, una con 16 mila euro in contanti e l'altra con il cellulare della cinese ancora acceso. Un errore che consentirà agli investigatori di rintracciare il luogo e di sequestrare il materiale con un rastrellamento capillare che coinvolge 120 militari. A pochi passi, in via Gentile Da Leonessa, vengono scoperti lo scooter e due caschi. Sugli elmetti ci sono le impronte dei malviventi, uno dei quali è pregiudicato. Sul denaro c'è il sangue perduto dal ferito, che servirà a ricostruire il suo codice genetico. E sono altri due, imperdonabili, errori della coppia di balordi. Non solo. Le telecamere di una banca avrebbero ripreso i killer in fuga a piedi, e a viso scoperto, mentre si allontanavano dalla baraccopoli. «Vicinanza affettuosa a una madre distrutta dal dolore per l'orribile omicidio della sua bambina e del marito e solidarietà verso la comunità cinese» sono stati espressi dal presidente della Repubblica Napolitano, che ieri ha fatto visita a Lia al San Giovanni. La donna sarà riascoltata dagli investigatori. Ma ormai dei due banditi si sa quasi tutto. Hanno trent'anni, erano senza fissa dimora. Non avevano un basista e hanno fatto tutto da soli. Ora si tratta di trovarli.

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