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"La mala romana non uccide bambini"

Il corpo del cinese ucciso da due rapinatori

Quartiere solidale: «Anche Roma è morta Gli italiani non l'avrebbero mai fatto»

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Qualcuno ha attaccato un biglietto accanto al portone macchiato del sangue di Joy, la bambina cinese di 9 mesi, uccisa dallo stesso proiettile che le ha trapassato il cranio e si conficcato nel cuore del papà che la cullava in braccio, durante una rapina sotto casa, al civico 26 di via Alò Giovannoli a Tor Pignattara. Su quel foglio c'è la data della mattanza, il 4 gennaio 2010. E la scritta vergata col pennarello blu: «L'Italia si vergogna, anche Roma è morta». Un mea culpa che ha sollevato l'ira dei romani, che piangono per le vittime, ma non ci stanno ad essere additati come assassini di bambini. «Vogliano scaricarci quelle morti» si sfogava ieri pomeriggio un omone che aveva appena letto il biglietto. «Ma gli italiani non ammazzano i bambini, nun s'è mai visto che la malavita romana spara ai regazzini. Qui a Tor Pignattara ce n'è di malavita - continua -. Ma questa non è roba nostra. È roba loro, ci vogliono mettere in mezzo». La sua rabbia è la stessa ira covata il giorno prima, quando insieme alle lacrime, ai fiori, alle candele accese sul marciapiede per la piccola Joy e per la sua mamma, Zheng Lian, 26 anni, ricoverata al San Giovanni, e che ancora non sa che la figlia è morta, più di un residente si era ribellato all'idea circolata: che gli autori dell'orribile delitto fossero italiani. «Rifiutiamo il marchio di infamia» avevano detto in molti al bar, o davanti al marciapiede dove don Claudio Santoro, uscito di corsa dalla chiesa di Santa Barnaba, di fronte a via Alò Giovannoli, era riuscito a dare l'estrema unzione alle vittime. «Non possono marchiarci così - aveva reagito il quartiere - solo perché la donna, unica superstite della mattanza, ha detto di aver sentito parlare i due banditi con accento romano». Magari bastasse un accento per prendere quelle belve. Il romanesco lo parlano anche gli stranieri a Parioletti, così si chiama la zona teatro della mattanza, «perché qui non siamo ancora a Tor Pignattara» ha raccontato Antonio, che abita nello stesso palazzo della famiglia sterminata, prima che scomparisse dal frasario degli abitanti. «E sfido - spiega Antonio - i residenti storici non ci sono più. Se ne sono andati via a Ponte di Nona in 30-40 mila quando sono arrivati i cinesi, perché l'Esquilino era una chinatown». Ma ora anche i cinesi stanno per andare via, racconta Antonio. «Si stanno spostando a via dell'Omo dove hanno i magazzini». Un travaso di persone ed etnie. Gli studenti che si dividono gli appartamenti a stanze al posto dei vecchi residenti. Ma le strade di Parioletti, a due passi da Tor Pignattara, una zona strategica tra Casilina e Prenestina, collegata con il centro, anche senza i cinesi resterà piena di stranieri. Alle 5 di pomeriggio ieri a via della Marranella e via Eratostene non si è visto un solo romano. Solo bengalesi e cinesi. Negozi aperti, anche se è un giorno di festa. Mini market, macellerie e barbieri bengalesi. E ancora video club, internet point. Chi non è cinese o bengalese si sente un pesce fuor d'acqua. «Anche io» ammette Anna, polacca, 37 anni, che vive con il marito e la figlia al quinto piano di un palazzo senza ascensore. Gli affitti costano un occhio della testa. «700 euro al mese per una stanza e cucina più le spese di condominio, più tre mesi d'anticio e uno all'agenzia. E quando a fine anno arrivano le bollette dell'acqua è un salasso perché i bangladesh vivono insieme anche 20 persone, e consumano più di tutti, ma paghiamo noi per loro». La convivenza non è facile, e non solo per l'odore di cipolle e sedano che invade le strade. «A via della Marranella affittano anche le cantine - racconta Anna - I proprietari danno una ripulita e ci fanno vivere la gente, con le bombole del gas che possono scoppiare e facciamo tutti la fine del topo, ma nessuno controlla». E circolano soldi che non si sa da dove vengono. «Le donne bengalesi non lavorano e sono piene di figli - continua Anna - hanno i passeggini originali della Prenatal, io e mio marito lavoriamo e non possiamo andare al bar. Invece qui ogni due metri ci sono negozi e parrucchieri bengalesi, ma come fanno? - si chiede - E anche i cinesi, cosa fanno?». Si guarda intorno e conclude: «C'è la mafia».

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