I sei misteri del delitto di Tor Pignattara
Sei gli elementi ancora poco chiari sulla tragica vicenda di Tor Pignattara. LE BORSE Le due borse rapinate mercoledì sera a moglie e marito cinesi sono il principale mistero di questa brutta vicenda. I carabinieri hanno sempre saputo che era una soltanto: quella sottratta alla donna. Lei però, unica superstite della famiglia, non ha mai riferito della seconda sacca, quella dell'uomo. E non ha mai detto che conteneva parecchi soldi. Gli investigatori attribuiscono la scarsa attendibilità della poveretta al suo stato di choc. Zeng Lyan è ancora ricoverata all'ospedale San Giovanni Addolorata: ha subito ferite da taglio a braccio destro e torace. E soprattutto, ancora non sa che figlia e marito sono morti. Un comportamento della donna che ha incuriosito gli investigatori è legato alla dinamica della rapina. Quando i due aggressori si sono fatti avanti, lei ha reagito. Ha difeso la borsa evitando a tutti i costi che i balordi la portassero via. La reazione è stata tanto forte che i due hanno usato il taglierino per recidere la cinghia e liberare la tracolla. Non solo. Esploso il colpo di pistola che ha trapassato la testa della piccola conficcandosi nel petto dell'uomo, Zeng Lyan ha continuato a inseguire gli assassini. Una tenacia che ha sorpreso. Solo in seguito, resasasi conto che i due killer erano imprendibili e accortasi che il marito si era accasciato a terra con la figlia in braccio, allora è tornata indietro. Si è avvicinata alla piccola, l'ha presa tre le sue braccia e ha vagato sul marciapiede. I SOLDI Quindicimila euro lasciati nella borsa fatta ritrovare in una baraccopoli di romeni a Casal Bertone. È strana l'ultima notizia legata all'inchiesta sul duplice omicidio di Tor Pignattara. Rapinatori che si disfano del rapinato. E, soprattutto, non si sa fino a che punto la cifra sia "vera". La cosa certa è che i killer hanno scelto quel posto per abbandonare le due sacche. Ma l'elemento su cui non si può essere sicuri è che la somma fosse tutta lì. In sostanza le domande sono: all'interno c'era altro denaro, i malviventi hanno sottratto la parte più consistente facendo ritrovare il resto?Oppure la somma è tutta lì, importante ma non eccezionale? Il dettaglio non è da trascurare. Il ritrovamento potrebbe essere un gesto disperato dei balordi: realizzata la tragedia commessa si sono liberati del bottino come di una colpa. Quindi un finale che non sorprende ma rientra nel copione di chi capisce la tragedia fatale e cerca di ridurre il peso che si porta dentro sbarazzandosi del maltolto, di ogni traccia. L'altra ipotesi è completamente diversa. Non è un rigurgito di coscienza ma una mossa voluta: sviare le indagini facendo in modo che borse e denaro finiscano nelle mani degli investigatori per tentare di pilotare la situazione. In questo caso si tratterebbe di persone lucide e non sconnesse. Di malviventi che sanno quello che hanno fatto, non se ne pentono e cercano di gestire la situazione. Ma sono solo congetture al vaglio dei militari. L'ARMA DEL DELITTO Trovata la pistola del duplice omicidio. Poi la smentita. Ieri pomeriggio per mezz'ora ha fatto un gran rumore la notizia passata in agenzia stampa. Ore 14,27: «È stata ritrovata dai carabinieri in una clinica l'arma dell'omicidio del cittadino cinese di 31 anni e sua figlia di 9 mesi. A quanto si è appreso, si tratterebbe di una pistola calibro 7,65, trovata in una clinica nella Capitale, dove ci sono alcuni detenuti agli arresti domiciliari, in zona Prenestina». Alle 15,07: «La pistola ritrovata in una clinica per detenuti, diversamente da quanto si era appreso in precedenza, non è l'arma che avrebbe ucciso il cittadino cinese di 31 anni e sua figlia di nove mesi. Si tratta di un'arma sequestrata dalla polizia alcune ore dopo l'omicidio durante alcune perquisizioni». La pistola del delitto è l'altro pezzo mancante di questo complicato puzzle. L'autopsia eseguita all'istituto di Medicina legale della Sapienza ha estratto la pallottola dal corpo del cinese. Sembra calibro 9. Ma gli investigatori ritengono che si tratti di un calibro minore, più probabilmente 7,65. Ma esploso da una pistola a tamburo. I rilievi eseguiti dai carabinieri per tutta la notte tra mercoledì e giovedì non hanno rinvenuto il bossolo del colpo sparato. Molti delitti che hanno insaguinato Roma sono stati risolti senza che la pistola sia mai stata trovata. Anche in questo caso, rinvenire l'arma del delitto non pregiudica la soluzione del duplice omicidio. LA DINAMICA I killer sono fuggiti in moto. Hanno corso a piedi su via Giovannoli e poi sono saliti sulle due ruote che avevano parcheggiato in via Tempesta? È il punto che va chiarito della dinamica di mercoledì sera. Circa dieci testimoni oculari sono stati ascoltati dai carabinieri. Le dichiarazioni rilasciate non sono state molto diverse tra di loro. Intorno alle 22 madre e padre con la figlia in braccio escono dal bar di via Tempesta. È una scena che si ripete ogni sera da quasi otto anni, da quando cioè hanno comprato l'attività commerciale. La donna avrebbe riferito agli investigatori che si sentiva seguita. I tre imboccano via Giovannoli dove abitano in un appartamento al secondo piano con i genitori, due sorelle e il fratello di lei. I due rapinatori li affrontano davanti al portone. Vogliono prendere le borse che portano in spalla marito e moglie. I cinesi reagiscono. Non cedono. Gli aggressori non mollano. Uno sfila la sacca di lui, l'altro col taglierino cerca di tranciare quella di lei. È quasi una rissa. E alla fine accade il peggio. Uno dei rapinatori estrae la pistola e fa fuoco: forse per sbaglio, forse perché lo vuole. Poi la fuga. La donna prova a inseguirli. Poi desiste. E i due? Nelle voci che in questi giorni si sono rincorse e accavallate c'è chi ha parlato di tre persone fuggite dal luogo del delitto. Un'ipotesi che gli investigatori però non hanno mai confermato lasciando intendere che la versione dei fatti prevede solo due aggressori. GLI INDIZI Gli indizi raccolti finora dagli investigatori hanno moltiplicato le possibili ipotesi sul movente del duplice omicidio. Dalla rapina si è passati a considerare anche altre tesi. Per esempio come racket e riciclaggio. Fantasie?Ipotesi certamente. Prima l'identikit dei responsabili era quello di persone che sotto l'effetto della droga avrebbero colpito la famiglia che tenevano d'occhio da un po'. Cercavano il bottino giusto per comprarsi una manciata di dosi e invece, a causa dell'alterazione, avrebbero perso la testa e il controllo della situazione sparando il colpo mortale. Ora alcuni retroscena aumentano il raggio delle indagini. I carabinieri registrano le voci che circondano questa vicenda oscura. A partire dalle minacce di estorsione che la famiglia avrebbe subito. Lui, come titolare di un money transfert in via Bordoni. Lei, come gestore del bar in via Tempesta. Lo hanno detto ieri amici e parenti. Lo ha rivelato il giorno prima il presidente onorario dell'associazione Associna, Marco Wong, riferendo di telefonate «sciacalle» ad alcuni suoi connazionali commercianti di Tor Pignattara: «Pagate il pizzo oppure farete la fine di quei due». I militari stanno coi piedi per terra ma non trascurano piste investigative. L'altra è quella di uno strano giro di soldi nella "banca" dell'uomo: è stato vittima di persone che vantavano crediti o volevano punirlo per denaro che non è mai arrivato a destinazione? Ipotesi. IL RUOLO DELLA VITTIMA Chi era davvero la vittima, Zhou Zeng ucciso assieme alla figlia Joy di nove mesi? Un cinese-napoletano, lo ricorda chi lo conosceva. Un ragazzo di 31 anni che tanti anni fa era arrivato a Roma dal capoluogo partenopeo. Sicuramente anche un uomo d'affari. Un orientale che era riuscito a fare impresa. Era titolare di un money transfert in via Bordoni, a due passi dal bar e da casa. La sua vita si svolgeva tutta a Tor Pignattara. Un quartier generale di pochi chilometri quadrati dal quale però Zhou era riuscito a farsi un nome nella comunità cinese romana. I suoi affari sono stati la causa della tragedia? Nella Capitale, il mondo dei money transfert è un ambiente riservato. Spesso bersaglio di rapinatori professionisti che colpiscono sapendo di trovare un bottino ricco. Di regola un canale attraverso il quale girano tanti soldi, da e per la Cina. Un settore guardato a vista dalle forze dell'ordine, specie dalla Guardia di finanza. Infatti non sempre i traffici sono leciti. Le rimesse degli orientali sono milionarie. Ed è successo che le società che li fanno girare siano finite nelle indagini degli investigatori. Una importantente è stata condotta all'Esquilino: ha coinvolto cinesi e il clan camorristico di Giuliano. Il malaffare prevedeva vasti traffici legati alla contraffazione di merce. Un lavoro sporco che prevedeva la collusione di colletti bianchi, ancghe di commercialisti: cinesi e italiani.