L'eterna lotta tra il Bene e il Male
Sette dicembre 1986. Vaticano, Palazzo Apostolico, sala da pranzo. È sera, Giovanni Paolo II cena con due ospiti, Indro Montanelli ed una delle sue più care amiche. È sera di ricordi: Indro rievoca il colloquio di Carol con Alì Agca, l'attentatore che aveva cercato di ucciderlo 5 anni prima e che il Papa aveva perdonato. Secondo il Pontefice Agca era rimasto traumatizzato non tanto dal fatto di avergli sparato ma da quel Qualcuno o Qualcosa che gli aveva impedito che i suoi colpi lo uccidessero. Nell'ascoltare il Papa, Indro aveva capito cosa aveva sconvolto Agca: i suoi colpi erano stati deviati dalla mano di Dio. Sia la vittima che l'attentatore lo sapevano. Oggi di fronte al cadavere di un uomo e di sua figlia di soli otto mesi non si può non chiedersi dove fosse quel Qualcuno o Qualcosa l'altra sera mentre una mano armata spezzava quelle vite. Gesù morendo in Croce chiede al Padre «perché mi hai abbandonato» ed è questa la domanda che alcuni (troppo pochi purtroppo) si pongono, smarriti di fronte all'impossibilità di impedire che si trovi il coraggio di sparare in testa ad un cucciolo d'uomo inerme e poi fuggire lasciandosi alle spalle la loro stessa anima sul marciapiede di un quartiere dimenticato, in una notte qualsiasi, in un universo dove la mano di Dio non basta, ora come duemiladodici anni fa, a proteggere i suoi figli. Eppure anche quelle persone che sono state capaci di quel gesto sono nate dallo stesso moto d'amore che ha creato il mondo, acceso le stelle, dato luce agli sguardi, dotato di intelletto gli esseri umani. Perché l'uomo si scaglia contro i suoi simili? «Homo homini Lupus» diceva Plauto, amara concezione ripresa da Bacone, da Erasmo fino a trovare massima espressione nel pensiero di Hobbes secondo cui nessuno si avvicina ad un'altro uomo per amore naturale. Eppure la Genesi ci dice che siamo fatti a «immagine e somiglianza di Dio» e Dio in tutti i credi del mondo non è che l'oggettivazione dell'Amore. Quindi noi siamo Amore: la nostra anima conserva la scintilla del Dio che ci creato. E allora perché l'uomo ferisce, strupra, uccide, tortura, distrugge? Lo fa perché il Male usa gli uomini, nella sua eterna e ultraterrena lotta contro il Bene. Tutti possono essere vittime del male: Dio lo sa e ci ha dato modo di pentircene e tornare a Lui, attraverso un Sacramento: la riconciliazione. La Penitenzeria Apostolica è il luogo dove viene conservato il registro dei peccati mortali, quelli per cui un normale sacerdote non può concedere l'assoluzione. Essi vengono sottoposti al vaglio del Tribunale delle Anime, che non valuta le circostanze o i fatti ma solo la veridicità del pentimento di chi ha commesso quel peccato. Nei registri dei Penitenzieri si può leggere di chi chiedeva perdono per aver ucciso un Re o centinaia di persone dopo un solo ordine impartito, o di una madre che invoca pietà a Dio dopo aver ucciso suo figlio a colpi di roncola. Negli ultimi vent'anni i registri dei Penitenzieri si stanno assottigliando. Non ci si pente più. Nessuno ha più paura della condanna dell'anima. Ecco perché si può sparare in testa ad un bambino e fuggire via. Ecco perché il giorno dopo si può continuare a mangiare, bere, dormire, fare l'amore senza bisogno di chiedere Perdono. Non si ha più paura di quel Qualcuno o Qualcosa che, oltre a salvare le vittime potrebbe torturare l'anima dei carnefici. Ma Dio è Amore non si vendica, dirà qualcuno. E io rispondo che l'amore di Dio è giusto e non dimentica di separare i buoni dai cattivi e il bene dal male. Stiamo assistendo inermi alla secolarizzazione della morale, abbiamo dimenticato il trascendente per l'immanente. L'omicidio di due giorni fa era una rapina o forse una vendetta ma niente di più di qualcosa che dura il tempo di spendere i soldi rubati o la consumazione del senso di onnipotenza nell'essersi fatti giustizia da soli. La condanna dell'anima macchiata di un simile peccato dura in eterno. Non siamo solo carne e fiato, siamo l'espressione di una spinta creatrice che muove il «sole e le altre stelle» come diceva il Sommo Poeta. Mai come adesso, in un epoca d'incertezza dobbiamo riappropriarci della nostra natura divina, dobbiamo ricordarci che siamo frutto dell'essenza più pura di quel Qualcuno o Qualcosa che condanna ma che soprattutto perdona e come diceva Giovanni Paolo II, dobbiamo avere il coraggio di vedere Dio in noi e di non averne Paura.