I negozi bocciano le aperture libere
Millecinquecento euro in più al mese solo di elettricità. Poi ci sono i costi del personale, calcolando che non chiudere la sera e chiedere ai propri dipendenti di lavorare la domenica e i festivi, comporta per il titolare dell'attività commerciale spendere dal 30 al 120 per cento in più in una sola giornata. Stare aperti no stop, rinunciare alla domenica e ai festivi avrebbe costi insopportabili per le piccole e medie imprese del commercio capitolino. Le associazioni di categoria si uniscono per dire «no» alla liberalizzazione degli orari disposta nel decreto sviluppo del Governo. Un rifiuto motivato soprattutto dai costi che fioccherebbero per adeguarsi a questo decreto. La Confesercenti di Roma e del Lazio fa alcuni calcoli. Se un negozio di media dimensione, che oggi sta aperto 5 giorni a settimana dalle 9 di mattina alle 7 di sera spende circa mille euro di luce al mese, allungando l'orario di apertura e rinunciando al turno infrasettimanale e alla domenica, spenderebbe per la sola bolletta della luce fino a 2.500 euro al mese (rispetto ai mille calcolati mediamente per attività, di oggi). Passando ai costi del personale, l'altra tra le voci più onerose per un esercizio commerciale, la liberalizzazione degli orari comporterebbe dover assumere almeno un altro dipendente, ma secondo la Confesercenti anche più di due calcolando che i turni medi di lavoro sono di sei ore e che il personale ha diritto almeno ad un giorno di riposo. Il costo di questa operazione farebbe salire la spesa annua del personale dagli attuali 54 mila euro lordi (un'impresa media di commercio al dettaglio ha tra i due e i tre dipendenti e un dipendente professionale guadagna dai 27 ai 29 euro lordi l'anno), ad almeno 80 mila euro. Entrando nel dettaglio di quello che potrebbe accadere se un negozio volesse avere degli orari più flessibili, se un dipendente prende 50 euro al giorno (la cifra è indicativa), lavorando la domenica avrebbe diritto ad un 30% in più in busta paga, lavorando un festivo (Natale, Pasqua e così via), al 120% in più. «Si capisce bene da queste cifre come questa liberalizzazione nel settore commercio sia impraticabile», chiosa Valter Giammaria, presidente della Confesercenti provinciale. Chiedere ad un commerciante, con la crisi economica di questi anni, di stare aperto oltre l'orario attuale, secondo Giammaria non è altro che uno spot politico «che non tiene conto della realtà e che soprattutto non aiuta a spingere in alto i consumi come si è sentito dire perché dovrebbe valere il principio che stare più aperti equivale ad avere più clienti, ma così non è». Senza tenere conto del fatto «che nel nostro territorio l'orario di esercizio è già libero e per le domeniche il centro storico e il litorale possono aprire tutto l'anno mentre il resto della città è aperta 10 mesi su 12». Non solo. «Percorrendo questa strada non si fa altro che dare una mano ulteriore alla grande distribuzione che è l'unica in grado di sopportare maggiori costi d'impresa - incalza il presidente della Confesercenti - da qui la nostra richiesta che la Regione Lazio impugni davanti alla Corte Costituzionale il provvedimento di liberalizzazione voluto dal Governo». Una scelta fondata sul piano formale, a detta della Confesercenti, visto che tutte le competenze in materia di commercio, compresa quella degli orari, sono demandate costituzionalmente alle Regioni. L'Associazione di categoria è anche pronta alla serrata degli esercizi commerciali «perché non possiamo assistere a continui provvedimenti di Governi nazionali e locali che colpiscono in prevalenza le piccole e medie imprese del commercio». Anche per il presidente della Confcommercio Roma Giuseppe Roscioli «la liberalizzazione degli orari è provvedimento inattuabile». «È un problema di costi innanzitutto, ma non ne capisco neanche la ratio». Spiega perché: «Se è fatto per spingere i consumi è assolutamente inutile, perché saranno davvero pochi i negozi che potranno permettersi di restare aperti no stop, domenica e festivi inclusi». E poi «se liberalizzazione deve esserci che sia per tutti. Non capisco per quale motivo i negozi sono inclusi, i taxi o altre categorie no. Perché per gli uni non è mai possibile discutere, per gli altri invece a priori si dice no alle liberalizzazioni». C'è poi un problema di sicurezza per le donne, di ordine pubblico, nello stare aperto così tante ore, notte compresa. Ma su questo l'assessorato al commercio del Comune è pronto a riunire le associazioni di categoria attorno ad un tavolo. «Non credo che sarà risolutivo - incalza di nuovo Roscioli - fermo restando che ci andremo a staremo a sentire le proposte dell'assessore Bordoni». Per il presidente della Confcommercio «se questi sono i provvedimenti del governo che dovrebbero aiutare un settore in crisi come il commercio penso che siamo su una strada sbagliata e sinceramente ci aspettiamo qualcosa di più concreto». Perché intanto i negozi continuano a chiudere e a registrare bilanci sempre più negativi. È ancora la Confesercenti a ricordare che nel Lazio sono a rischio oltre 100 mila attività e 300 mila occupati. Di fronte a cifre del genere «bisogna assumere provvedimenti straordinari in difesa del vero motore economico del nostro territorio».