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di Angelo Mellone Alla fine, il balcone che sul Tevere accoglierà i pegni d'amore dei ragazzini è un compromesso intelligente escogitato dal sindaco Alemanno.

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Maciò non toglie la sensazione che potesse finire malissimo, la bella storia generata da un bel libro di Federico Moccia, Tre metri sopra il cielo, che del ponte di Corso Francia e Ponte Milvio aveva fatto scenario da sogni di notti di mezza estate per i nostri quindicenni. Dico subito che lo so di essere in minoranza nella difesa dei lucchetti di Ponte Milvio, ma a quelli che accusano la generazione lucchettara d'aver rovinato un monumento storico, magari agli stessi che ieri hanno inscenato una caciara degna di altri bersagli contro Moccia, vorrei proporre una linea di ragionamento e, poi, di riflessione del cuore. Partiamo proprio da Ponte Milvio: fino a una quindicina d'anni fa era un luogo che, a parte un famoso panificio e una superba pasticceria, non godeva certo di buona fama. Oggi è uno dei posti più frequentati dai giovani. Questa ribalta darà pure comprensibile fastidio a molti residenti, ma credo sia meglio il Ponte Mollo di oggi, coi suoi locali e il suo fiorire a cielo aperto, che quello di ieri, col mercato e i barboni. In questa riqualificazione quasi spontanea, il ruolo dei lucchetti è stato decisivo, perché la migrazione degli innamorati ha fornito la scossa di vitalità necessaria a renderlo una piazza gioiosa, vissuta, partecipata. Insomma: bella. E poi, lo raccontava qualche mese fa Marco Lodoli, Ponte Milvio è divenuto una specie di simbolo globale dell'amore giovanile. L'usanza dei lucchetti è stata copiata ovunque, da Taranto a Parigi, epperò solo a Ponte Milvio, nel luogo originario, chi ha potuto è corso a officiare il suo rito sentimentale, in una notte che - sono certo - ricorderà per sempre. E scusatemi se lo ripeto, ma si tratta di una cosa splendida. Si dice che i lucchetti rovinano un ponte storico, appesantiscono i lampioni, addirittura deturpano: critiche lecite, certo, ma nella città che ha sempre intrattenuto un rapporto di simbiosi coi suoi monumenti cosa c'è di più bello e più romano di un aggiornamento del mito di Ponte Milvio, di un nuovo modo di fruirlo e di viverne la storia? Qui mi sorge il sospetto, anzi la certezza che se il consiglio del XX Municipio fosse stato composto di ragazzi sotto i venticinque anni, nessuno si sarebbe mai sognato di toccare quei lucchetti. Agli adulti che protestano e magari nemmeno vogliono il balcone montato sotto il ponte, agli stessi adulti spesso preoccupati per le storie di mercificazione e cattivo uso del sesso che leggiamo sugli adolescenti, giro - nella speranza di essere capito - il dubbio che ci si stia accanendo sull'unica usanza che va in controtendenza, perché insegue un'idea di amore eterno, imperituro, inossidabile come il clic del lucchetto. Un'idea positiva dei sentimenti, all'esatto opposto della carnalità facile che tanto spaventa i genitori contemporanei. E allora su, lasciamo a questi ragazzi la possibilità di giocaer a Babi e Step e cullare le loro beate illusioni. Lasciamogli tirare le chiavette nel Tevere convinti d'aver sigillato d'eternità il loro bacio sul ponte. Lasciamo coltivare la sfacciata serenità della giovinezza, a quei visi senza rughe che a Ponte Mollo vanno in processione a dichiararsi una promessa impossibile e perciò bellissima. Le rughe, il disincanto, le pene dell'amore che sfiorisce, avranno tutto il tempo per scoprirli. Lontano da Ponte Milvio.

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