Il regalo più bello è via del Corso tricolore
Uno spettacolo così non è solo da Roma capoccia. È da Italia capoccia. Eccola, via del Corso natalizia. Le lampadine si sono accese il giorno dell'Immacolata Concezione, quando il buio cala presto in attesa del solstizio d'inverno. Lucine bianche rosse e verdi, un festone ininterrotto da piazza del Popolo a Piazza Venezia. Un chilometro e 600 metri di tricolore, un elettrico ed elettrizzante inno di Mameli. Ancora, una guida aerea che salda a un estremo le Mura Aureliane di Porta Flaminia e l'estro del napoleonico Valadier nell'invenzione urbanistica della terrazza del Pincio. E dall'altro lato il savoiardo l'Altare della Patria e l'accenno medievale di Palazzo Venezia. L'ombelico del mondo. Sormontato dalla bandiera luccicante che fa fiero il presidente Napolitano. E scusate l'orgoglio. Perché il Corso (l'unico che si chiama tout court così, senza accostarsi a nomi di personaggioni: insomma il Corso per antonomasia) ha visto tanta storia da non avere contendenti nel vanto. Sotto l'asfalto, e sotto i sampietrini delle strade intorno, c'è Roma antica, la via consolare. E quando gli imperatori finirono, arrivarono Papi e aureole. La testa di San Silvestro sta nella piazza vicina, un'altra piazza è memore del martirio di San Lorenzo. La nobiltà nera spianò la strada al generone, i ricchi agli intellettuali. I blasonati hanno gareggiato a suon di palazzi e di affacci. Odescalchi, Doria Pamphili, Sciarra Colonna, Ferrajoli, Chigi, Ruspoli. Finestre illuminate e tende di broccato aperte la sera del martedì grasso, a ubriacarsi della corsa dei cavalli berberi, scatenati nell'arteria centrale del Tridente. Palazzo Ruspoli era circondato di un gradino alto quasi un metro e lassù s'appollaiavano i temerari per vedere la corsa da vicino. Mussolini lo resecò per farci passare meglio i tram. Ma prima del Mascellone passeggiavano qui le anime belle del Grand Tour. Goethe abita al numero 18, Leopardi affitta un appartamento in via Condotti. Si gode il Carnevale e anche quando, finita la festa, tornano sul Corso i carretti a vino, quelli dei verdurai. Prima di via Veneto è qui la Dolce Vita. I bar di Rosati e Canova vedono Fellini, la Masina, Monica Vitti, Guttuso. Il Caffè Aragno è tutto un lavorio di chiacchiere e cervello. Nella terza saletta siedono Vergani e Cardarelli, Marinetti e Bragaglia, Pannunzio e Soffici, Ungaretti e Barilli. Il divertimento è in Galleria Colonna. Perfetto per i balli il pavimento di marmo, ai tavolini le bellone ispirano languori e avances. Suona l'orchestra e si balla. O s'applaude la banda del maestro Vessella, un concerto ogni sera. E la primavera tiepida porta tutti fuori, a sedersi all'ombra della Colonna Antonina. Ieri notte, alle due, quando questa città nevrotica ma memore della grandezza si è fatta finalmente silenziosa, il festone di luci tricolore parlava al cuore dei nottambuli. Il Campidoglio ha fatto la scelta giusta a regalarcelo. E anche l'albero-cono - bianco come il Vittoriano ma fasciato in un esile nastro bianco-rosso-verde - era funzionale all'allestimento. Peccato smontarlo. Una proposta, signor sindaco. Lo metta in piazza Colonna, al centro del Corso.