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«Per me e Raniero una vita sospesa»

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L'amarezza della moglie di Busco Lui: «Ora sto con i piedi a terra»

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RanieroBusco è cauto, prudente e, come al solito, parla poco. Specialmente con i giornalisti. Ma, a dieci mesi dalla batosta del processo di primo grado, che gli è fruttato una condanna a 24 anni di reclusione per l'omicidio dell'ex fidanzata Simonetta Cesaroni, il suo atteggiamento è cambiato. La fiducia nella giustizia che l'aveva convinto di «meritare» un'assoluzione è stata parzialmente consumata dal verdetto emesso lo scorso gennaio dalla Corte D'Assise. E anche se il secondo processo è cominciato sotto buoni auspici, con i giudici che hanno accolto le richieste di revisione dibattimentale e di una super-perizia avanzate dai suoi difensori Franco Coppi e Paolo Loria senza opposizione da parte del procuratore generale Alberto Cozzella e delle parti civili, Raniero sceglie la cautela. «Per ora sono soddisfatto - spiega Busco, avvolto in un completo grigio scuro e con una "mosca" cresciuta sotto al labbro inferiore - ma voglio tenere i piedi ben piantati in terra, visto com'è andata in primo grado». L'imputato ha assistito con attenzione al debutto del dibattimento d'appello seduto accanto al nuovo difensore che ha affiancato l'avvocato di famiglia Loria. Ogni tanto chiedeva a Coppi spiegazioni. Ma per il resto era concentrato sulla Corte, che fra i dieci giurati popolari conta ben otto donne, e sulle richieste dei suoi legali. Più loquace la moglie, Roberta Milletarì, che ha sottolineato il clima di «sospensione» nel quale la famiglia Busco (i coniugi hanno due gemellini di otto anni) vive da quando Raniero è stato indagato per il delitto di via Poma e, soprattutto, dopo la condanna che ha travolto le loro esistenze. «Viviamo nell'attesa, cerchiamo di avere fiducia nella giustizia ma siamo ancora molto arrabbiati per come è andato l'altro processo», ha dichiarato Roberta, che si guadagna da vivere facendo la commessa alla Coin di San Giovanni. Lei e il motorista dell'Alitalia impiegato all'aeroporto di Fiumicino sono arrivati in tribunale mano nella mano. Non erano seduti vicini, com'è accaduto spesso nell'aula-bunker di Rebibbia. Ma lei non l'ha mai perso di vista. Con la moglie, a sostenerlo, c'erano anche il fratello, e un nutrito gruppo di amici. Un supporto sottolineato dalla Milletarì: «Ci sono tante persone che ci sono vicine - ha detto - più di quante erano nel dibattimento di primo grado. Da allora abbiamo cercato di vivere normalmente, soprattutto per i nostri bambini. Non è stato facile con lo spettro di questo nuovo processo. Siamo sempre in attesa. La vicinanza di tanta gente è bellissima. Ci danno veramente forza. Ma non è facile».

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