Roma Capitale svanita per un blitz La riforma salta tra veleni e vendette
L'appello del senatore e responsabile degli Enti locali per il Pdl, Mauro Cutrufo, di metà pomeriggio al governo praticamente dimissionario di non mancare un'occasione storica, è caduto purtroppo nel vuoto. Un ultimo, disperato tentativo da parte del Campidoglio è stato fatto poco prima delle 18. Ma la riforma di Roma Capitale proprio non ce l'ha fatta. Addio quindi non solo a poteri e autonomia ma a quella dignità di capitale che la città attende da oltre mezzo secolo. A dare l'annuncio, alle 19, il sindaco Alemanno: «Nonostante la Regione Lazio abbia dato il suo parere favorevole al Decreto Legislativo per Roma Capitale, il ministro Calderoli della Lega Nord, si è rifiutato di presentare il Decreto in Consiglio dei Ministri. Ancora una volta, la Lega Nord ha provato a sabotare gli interessi della nostra Città con pretesti di bassissimo profilo. Ormai, soltanto il prossimo Governo potrà adempiere a questo atto formale in tempo utile prima del 21 novembre, data di scadenza per l'approvazione in prima lettura del decreto legislativo. Siamo sicuri che la necessità di dare una diversa governance alla nostra città riuscirà a trovare pieno riconoscimento a prescindere dalla formula politica con cui sarà costituito il nuovo esecutivo». Ma siamo sicuri che tutto sia dipeso solo dal ministro Calderoli? La discussione sull'accordo raggiunto tra la presidente della Regione Polverini e il sindaco Alemanno che doveva fungere da lasciapassare per i successivi passi della riforma, ci sarebbe stata nel consiglio dei ministri non di ieri ma dell'altroieri. In quell'occasione, probabilmente l'ultima davvero utile per far approvare il primo passaggio del secondo decreto attuativo, non sarebbe arrivato il parere della Regione o addirittura, quello pervenuto non era poi così "favorevole", puntando all'attribuzione delle deleghe da parte della Regione e non del Parlamento. In entrambi i casi sarebbe dunque stato impossibile, anche per il ministro Calderoli, portare a compimento il decreto. Per questo in Campidoglio si sarebbe lavorato per tutta la giornata di ieri alla preparazione di un ulteriore documento. Indiscrezioni confermate, inconsapevolmente, dal capogruppo capitolino del Pd, Umberto Marroni: «Da mesi abbiamo assistito ad un rimpallo su poteri e competenze tra Regione e Comune conseguenza di scontri tutti interni al Pdl che hanno rallentato e forse definitivamente compromesso il percorso della riforma; peraltro il primo cittadino ha presentato oggi (ieri ndr) un testo di cui non erano a conoscenza né l'ssemblea capitolina né le forze politiche cittadine». A quel punto il caos della situazione e l'assist eccezionale offerto alla Lega hanno fatto il resto. Troppo tardi quindi. Praticamente per tutto. Non a caso, martedì scorso proprio la Polverini, mentre Alemanno lanciava un appello per l'approvazione del decreto da parte del consiglio dei ministri, commentava laconica: «Noi abbiamo un protocollo in campo ma in questo momento la partita è nelle mani del Governo. Il governo sta vivendo momenti difficili, quindi con tutto il rispetto per Roma Capitale, dobbiamo prima seguire gli eventi per capire cosa succederà al governo». In pochi, insomma ci credevano ancora. Per motivi diversi. Una cosa, tuttavia, è certa. Se ci fosse stato un partito vero la riforma di Roma Capitale sarebbe già realtà e non da ieri o dall'altroieri. La mancanza di una guida forte che detti la linea generale agli amministratori genera equivoci e pasticci. A pagare al momento è il sindaco Alemanno che, nonostante il tentativo, più o meno reale di spostare l'attenzione sulla Lega, diventa l'inevitabile capro espiatorio della fallita riforma. Per adesso. A rispondere di quanto fatto, o meglio non fatto, prima o poi toccherà anche alla Polverini e ai consiglieri regionali. Con le dimissioni del presidente Berlusconi, la governatrice perde un alleato prezioso, dentro e fuori il partito. E il ritardare la riforma di Roma Capitale è soltanto uno dei nodi che più di un esponente politico si è ben stretto al fazzoletto. La resa dei conti insomma arriverà. Intanto l'opposizione gongola e chiede le dimissioni di Alemanno. In molti si chiedono, e sperano, che il sindaco lasci il Campidoglio. Difficilmente lo farà. Anzi. Con il vuoto pneumatico che si creerà all'interno del partito proprio Alemanno può e deve tornare a giocarsi il ruolo di punto di riferimento della destra all'interno del Pdl. Anche nei confronti di una Polverini che ha già mostrato ambizioni di potere e di governo. La sfida insomma va ben oltre la riforma di Roma Capitale.