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Sono ventisei le persone che rischiano di finire a processo per la guerriglia che mise a ferro e fuoco il centro storico il 14 dicembre scorso.

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Apoca distanza da Montecitorio, andarono in scena scontri furibondi tra i teppisti e le forze dell'ordine. I fermati furono 41, 24 finirono in cella, 17 denunciati. I feriti tra gli agenti furono 57. Ieri i pm Pietro Saviotti e Luca Tescaroli hanno notificato 26 avvisi di chiusura delle indagini che preludono alla richiesta di rinvio a giudizio. I reati contestati, a seconda delle posizioni, sono deturpamento e imbrattamento di cose altrui, resistenza a pubblico ufficiale, danneggiamento aggravato, incendio, travisamento e manifestazione non autorizazzata. In pratica, devono rispondere del lancio di sampietrini, bombe carta, fumogeni, ordigni esposivi, petardi, mezzi delle forze dell'ordine distrutti e bruciati e vetrine delle banche mandate in frantumi. Quel giorno carabinieri, poliziotti e finanzieri furono bersagliati da pietre, pezzi di cassonetti, segnali stradali e cartelloni pubblicitari. Le auto parcheggiate lungo le strade furono avvolte dalle fiamme come i cassonetti, le sedie, i tavolini, i cartelli stradali, i semafori e tutto quello che si potesse distruggere. I danni alla fine furono di milioni e milioni di euro. Via del Corso alla fine della giornata sembrava una trincea di guerra. Il sindaco Alemanno, a sera inoltrata, disse sgomento: «Non ho mai visto una violenza simile, si è trattato di un'aggressione gratuita e pretestuosa, una cosa vergognosa. Chiederemo i danni agli arrestati». Neanche un anno dopo, il 15 ottobre scorso, i black bloc sono riusciti a fare di peggio tra via Cavour e piazza San Giovanni. Tra i 26 indagati per gli scontri del 10 dicembre ci sono anche esponenti dell'antagonismo di Roma. Si resero protagonisti per il lancio di grossi petardi verso la polizia che sbarrava le strade di accesso a Parlamento e Palazzo Chigi. Altri sette sono stati identificati e riconosciuti tra i vandali che hanno distrutto piazza del Popolo. Otto persone, invece, provengono da Brescia, Verona, Messina, Padova e Udine. Ma non solo. Tra gli indagati ci sono anche due esponenti di Action: Bartolo Mancuso e Nunzio D'Erme, quest'ultimo ex consigliere comunale di Roma. A rischiare il processo c'è pure Manuel De Santis, il 21enne che colpì con un casco alla testa un ragazzo di 15 anni. Per questo fatto è già stato condannato a tre anni di reclusione. Infine, tra gli indagati ci sono anche appartenenti ai no global come Paolo Dò, Giordano Luparelli e Francesco Ciacciarelli. Il sindaco Alemanno ha chiesto al prefetto una soluzione perché non si verifichino più casi simili: «Leggiamo che tra gli indagati per gli scontri dello scorso dicembre ci sono nomi significativi, come Nunzio D'Erme. Questo dimostra che personaggi storici dell'antagonismo romano finiscono per essere coinvolti nelle violenze. Il mio appello è che lunedì, dal prefetto, si trovi un'intesa per garantire il diritto a manifestare rifiutando ogni forma di illegalità e di paralisi della città». Anche ieri, infatti, gruppi di studenti e indignati hanno mandato in tilt il traffico sfidando l'ordinanza sui cortei. È passato più di un mese dagli scontri di San Giovanni, ma il problema di regolamentare in maniera efficace le manifestazioni è ancorasul tavolo e resta irrisolto.

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