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Al Pantheon saltano i primi tavolini autorizzati

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DiRienzo: la mia attività si svolge all'aperto dall'Ottocento. Quest'anno persi 600mila euro

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C'èanche chi, fidandosi delle istituzioni e accettando a malincuore restrizioni contro il suo locale, decide di uniformarsi alle delibere e di mettersi subito in linea, nonostante la sua licenza sia stata regolarmente rilasciata dagli uffici capitolini. Per poi scoprire, però, che forse sarebbe stato meglio fare diversamente. Perché, come è accaduto a Michele Di Rienzo, storico proprietario dell'omonimo ristorante al Pantheon, che ha più di 180 anni di vita, il fatto di aver tolto due file di tavoli al suo spazio esterno, non gli ha evitato di vedere che accanto a lui un altro gestore, che è invece ricorso al Tar per lo stesso provvedimento, quelle file di tavoli non solo le ha mantenute, ma anche aumentate. Ma andiamo con ordine. Un anno fa piazza del Pantheon rientra con i piani di massima occupabilità tra quelle piazze dove la situazione dei tavolini all'aperto deve essere regolamentata. Di Rienzo subisce, come tutti gli altri proprietari dei locali nella piazza, un provvedimento restrittivo che gli intima di ridurre lo spazio esterno da 96 a 78 metri quadrati, vale a dire circa 12 tavoli in meno rispetto a prima. Che fare? Il proprietario del ristorante ricorre subito al Tar come del resto fa la stragrande maggioranza degli esercenti, ma poi, su consiglio del suo avvocato, decide di uniformarsi al provvedimento perché non vuole correre il rischio che la sospensiva dia parere negativo e dunque bisogna ricominciare tutto dall'inizio chiedendo una nuova licenza con il rischio, concreto, di vedersela rifiutare. «Nel dubbio – racconta Michele - ho rinunciato al ricorso e ho tolto un paio di file di tavoli, seppur a malincuore visto che quella licenza di 96 metri quadrati ce l'ho da sempre e, soprattutto, io sono rimasto l'unico locale storico sulla piazza dove sto personalmente da 60 anni senza contare quelli della mia famiglia che ci sono stati prima di me». Passa qualche settimana e iniziano i guai. «Vedevo diminuire giorno dopo giorno i miei incassi e sempre meno turisti scegliere il mio ristorante, mentre gli altri locali sulla piazza si riempivano perché hanno preferito la strada del ricorso e continuato a occupare uno spazio che invece doveva essere lasciato libero». Il risultato, trascorso un anno, è stato a dir poco disastroso: volume di lavoro diminuito dell'80% e tra i 500 e i 600 mila euro di incassi persi. «Attualmente nel mio ristorante lavorano 33 dipendenti, tutti in regola - continua Di Rienzo - fino a questo momento ho stretto la cinghia e non ho licenziato nessuno, ma adesso sto pensando seriamente di far andare via sei, sette persone, che erano poi quelle addette ai tavoli esterni». I problemi non finiscono qui. «Mi sono adeguato al provvedimento, ho sempre pagato l'occupazione del suolo pubblico, non ho mai avuto un dipendente in nero, eppure sono venuti i vigili a controllare e dopo che ho fatto vedere loro la licenza, mi sono visto elevare una multa di sei mila euro perché, a sentir loro, i tavolini sporgevano ancora qualche centimetro di troppo rispetto lo spazio consentito». La domanda cosa pensa di tutto questo, per Di Rienzo ha una sola risposta: «Credo che le istituzioni stiano facendo un grosso errore. Colpiscono esercenti onesti per dar retta a un pugno di residenti, quando locali storici come il mio andrebbero tutelati e non "uccisi". Nel ristorante Di Rienzo lavorano anche i suoi due figli. «Ho paura per loro perché oggi non è più facile portare avanti un'attività commerciale tra divieti, ordinanze, provvedimenti restrittivi. Questa amministrazione non ha capito o fa finta di non capire che l'economia romana vive anche, per non dire soprattutto, di quello che producono i locali, i ristoranti e le attività pubbliche. Questa caccia alle streghe è inutile nonché dannosa per tutti».

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