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I provvedimenti restrittivi sono già arrivati a piazza Navona: via il 50% dei tavoli per alcuni storici ristoranti che affacciano sulla fontana del Bernini.

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«Daglioperatori che da anni sono in questa piazza stanno partendo i primi ricorsi su assurdi provvedimenti restrittivi che prendono come spunto il codice della strada ma che fino ad ora non sono mai stati applicati consentendo all'Amministrazione di rilasciare regolari licenze di occupazione di suolo pubblico». Per Campopiano le regole vanno riviste e soprattutto «i provvedimenti non devono essere presi per fare contento qualche residente senza tenere conto di ciò che è Roma, del suo tessuto economico, degli operatori commerciali che contribuiscono a tenere in vita questa città». Pochi numeri significativi del problema, almeno secondo gli operatori. «Solo in questa piazza, che è poi una delle tante che verranno colpite se passa questa interpretazione restrittiva della delibera, ci sono 18 esercizi pubblici dove lavorano in media una ventina di persone. Se un operatore viene costretto a ridurre del 50% la sua occupazione, che costituisce almeno il 70% del suo guadagno quotidiano, significa che a saltare non ci sono soltanto i suoi interessi ma quelli delle famiglie che lavorano nel suo esercizio». Secondo i calcoli di Campopiano circa 400 persone (solo per piazza Navona) che potrebbero perdere il posto di lavoro. «In questo momento di crisi e di livello generale di disoccupazione non capisco come si possa permettere una cosa del genere». Senza contare il deprezzamento del locale «ieri l'ho comprato a mille, oggi lo rivendo a 10», spiega in poche parole il presidente dell'Associazione, visto che chi lo acquista non può prescindere dal fatto che la licenza di Osp potrebbe essere non rinnovata o comunque soggetta a limitazioni. Ma i problemi non sono solo questi. «Faccio notare che mi si dice che i tavoli devono essere tolti, in base a questa famosa delibera 119, perché costituiscono intralcio al traffico o comunque per motivi di sicurezza, ma come la mettiamo con il fatto che piazza Navona è isola pedonale con tanto di cartello che ne indica l'inizio? E perché, invece, non si colpiscono quei locali che insistono sulle vie nei pressi di piazza Navona, dove è impossibile anche solo il passaggio di un pedone?». Forse per la politica dei due pesi e delle due misure? Lascia intendere Campopiano. Ecco allora l'unica arma di difesa dell'operatore che di punto in bianco vede dimezzata la sua occupazione o, addirittura, non rinnovata. «Si va avanti a suon di ricorsi al Tar», insiste il presidente di Navona 2003, «che costano dai 5 ai 9 mila euro». Un modo per non chiudere e continuare a lasciare i tavoli dove sono, che deprezza però la proprietà e soprattutto non assicura la sopravvivenza. «Il problema è che fino a che non riesci ad avere la sospensiva non hai il titolo per l'occupazione di suolo pubblico e sei soggetto alle multe», spiega l'avvocato esperto del settore Luca Giovarruscio. Ma anche quando arriva la sospensiva non sei tutelato «perché può dare parere negativo e dunque devi rifare la domanda di Osp se vuoi rimanere in regola». E ciò, nella maggior parte dei casi, significa andare incontro a un sicuro diniego. Dunque, si vive di ricorsi? «Sì - risponde l'avvocato, che spiega il meccanismo - Ti arriva un provvedimento restrittivo, fai ricorso e speri nella sospensiva del Tar. Nel frattempo non tocchi nulla ma di fatto, almeno fino a quando non hai questa sospensiva, sei una specie di abusivo pur continuando a pagare l'occupazione». E ancora. «Se dovessi decidere di vendere il locale con un ricorso pendente, il valore della proprietà si dimezzerebbe perché è come vendere una casa con un'ipoteca. Personalmente ho notizia di alcuni esercenti che si sono trovati di fronte a questo problema e hanno avuto grossa difficoltà a vendere. Vivere di ricorsi, insomma, non è una soluzione né una risorsa per chi incappa nella rete dei provvedimenti restrittivi». Mat. Vin Dam. Ver.

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