Alla Locanda dei Girasoli buona cucina e tanti sorrisi
Un perfetto esempio di lavoro sartoriale, cucito addosso ai propri figli, dolcissimi, con una voglia di fare fuori dal comune, down. Quando è spuntata la prima barba a Lorenzo, una difficoltà dopo l’altra: gli annunci, le telefonate, porte chiuse e una catena di "no grazie". Più lui irradiava casa coi suoi sorrisi, ingenui e inconsapevoli, di quelli di cui solo i ragazzi affetti da questa sindrome sono capaci, più la città non sembrava pronta a ricambiarli. Allora che fare? Tirarsi su le maniche, contattare genitori che, chissà, "stanno come noi". Magari aprire un ristorante? Che dia lavoro non solo a Lorenzo, ma anche ad altri nelle sue condizioni. E se poi i clienti apprezzassero? Potrebbe diventare conosciuto. Anzi, non un ristorante, una locanda, la Locanda dei Girasoli, il fiore che ride, fatta su misura per chi il lavoro l’ha cercato senza mai trovarlo. È partito tutto così. Da un’idea partorita in salotto tra un caffè e una battuta. Un’idea che si è rivelata intuizione. Perché il "progetto visionario" dei genitori di Lorenzo oggi è lì, in via dei Sulpici 117, motivo di vanto per l’intero quartiere Quadraro. Le famiglie fondatrici, correva l’anno 2000, si sono consorziate in una onlus, la cooperativa "I Girasoli" appunto. Tra il 2005 ed il 2008, ne sono poi subentrate altre due, "Al Parco" e "Cecilia". Stesso obiettivo, promuovere l’inserimento lavorativo e l'integrazione di giovani affetti dalla sindrome di down. Cucina romana (con la variante del maialino al latte sardo, omaggio allo chef Gianfranco Zedde), prezzi nella media, cento coperti, terrazzino esterno ("tutto ristrutturato con le nostre mani", precisano fieri). E soprattutto loro, i dipendenti down. Tra i 25 ed i 37 anni, Anna, Valerio, Viviana e Simone, impegnati nel servizio ai tavoli, con un contratto part-time, a tempo indeterminato. Con loro c’è anche Carlo, un ragazzo autistico, alunno dell’Istituto Agrario che alla locanda sta concludendo il suo stage formativo. Dall’inizio dell’avventura, saranno almeno una cinquantina i diversamente abili che, assunti o grazie ad un tirocinio con le scuole associate, hanno sperimentato qui la loro prima esperienza lavorativa. Viviana è nel team dall’apertura del locale, è anzi diventata socia della cooperativa: «Vivo lontano, a Monte Compatri, ma alla locanda ci sto bene. Ogni giorno arrivo coi mezzi, lavoro, poi mi viene a prendere il papà». Interrompe la chiacchierata, «ora devo andare a finire di apparecchiare i coperti». Entusiasta anche Simone. Ogni giorno su e giù da Lunghezza: «Ho calcolato che la sera torno a casa alle 23,30, ma sono molto felice di essere del gruppo». E alla guida del gruppo c’è il signor Antonio Anzidei, presidente della cooperativa "I Girasoli". È qui non perché abbia figli down, ma perché con le famiglie associate alla onlus è stata intesa a prima vista. Ha sposato la causa: «All’inizio, i primi anni, non è stato semplice, qualche stupido non voleva più il tavolo - ricorda Antonio - non volevano essere serviti da ragazzi down. Col tempo però ci siamo fatti conoscere e di casi così non ne sono più capitati». Chef, pizzaiolo, camerieri, più che una squadra sono una famiglia. «È una grande gioia fare sentire utili queste persone - ancora Antonio - anche perché gli effetti positivi sul loro comportamento, come ci confermano insegnanti e famigliari, si vedono». Gli fa eco Gianfranco, lo chef approdato a Roma direttamente dalla Sardegna: «Io ho sempre fatto il cuoco di mestiere, ma devo ammettere che le soddisfazioni che ho ricevuto lavorando qui, non le ho mai avute negli altri posti. Questi ragazzi lavorano sodo, mentre noi, semplicemente gli stiamo vicino. Senza corsi di formazione, senza esperti che ci dicano come trattarli: li viviamo come se fossero figli nostri». Gli incassi se ne vanno in stipendi. Ogni tanto contributi e sovvenzioni, catering esterni, anche qualche convenzione con gli studi di Cinecittà, poco distante, ma l’affitto del locale continua comunque a pesare come un macigno: «Speriamo che i clienti capiscano l’importanza di questo progetto continuando a farci visita. Non vogliamo soldi, solo essere apprezzati per la nostra cucina, e per i nostri dipendenti speciali». Apprezzamento che in primis è arrivato dai residenti del quartiere Quadraro, tanti clienti fissi che, fin dall’apertura del ristorante, hanno veicolato il messaggio che queste cooperative intendono far passare.