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Le dimissioni di Chiti e la rissa sfiorata

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C'èmancato poco che Montino e Zanda venissero alle mani. C'è mancato poco che Chiti si dimettesse da commissario del Pd Lazio: per dissuaderlo è dovuto intervenire il segretario Bersani. L'epilogo del secondo incontro del coordinamento politico del Pd di martedì notte è da thriller. Si doveva discutere - ancora e sempre, ormai da mesi - della convocazione dell'assemblea regionale per eleggere il nuovo segretario regionale che quasi tutti - dopo l'investitura di Zingaretti, segno di un disegno e di accordo politico chiari - indicano in Gasbarra dopo aver ormai abbadonato l'idea di celebrare quelle primarie invocate subito dallo stesso Gasbarra e richieste ancora dal lettiano Di Stefano. L'ipotesi-Chiti era quella di convocare l'assemblea per gli adempimenti statutari per l'elezione del segretario, come indicato da Bersani. Tutti d'accordo: bersaniani, zingarettiani e popolari in primis. Tutti? Non proprio. Non certo i franceschiniani, alleati traditi rappresentati da Zanda. C'è bastato poco a far incendiare Montino - sempre più in predicato di correre come sindaco di Fiumicino nel 2013. Sono volate parole grosse. Anche il popolare Dalia non è stato tenero nel dar manforte al capogruppo alla Pisana. Alla base degli attriti, maligna qualcuno, le candidatura al Parlamento per quelle elezioni politiche che in molti giudicano ormai imminenti. Tornata la calma, dopo la mezzanotte, tutti a casa. Ieri mattina Chiti ha rimesso il mandato nelle mani di Bersani che ha respinto le dimissioni rinnovando la fiducia al commissario per sbrogliare la matassa Lazio fondamentale per gli equilibri nazionali. Alla fine l'assemblea si celebrerà il 26 novembre, ma la «conclusione unanime» di cui parla Chiti è un'utopia.Dan. Dim.

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