Serrande su, serrande giù. Psicosi guerriglia in centro
La psicosi-scontri mette a rischio l'apertura dei negozi in Centro. Sabato la città sarà invasa dagli «indignados», manifestanti pronti a protestare il più possibile vicini ai palazzi del potere, contro un Paese rimasto al palo. Sono lavoratori, precari e non, padri e madri di famiglie che non riescono ad arrivare alla terza settimana, studenti, ricercatori e quanti altri vogliono alzare un grido di protesta sotto il cielo della politica. Ma, come succede in tanti cortei, i protagonisti della giornata rischiano di essere gli «altri» manifestanti. I contestatori per professione. Giovani organizzati nei centri sociali e nei sottoscala delle università roccaforti della sinistra più estrema per mettere a ferro e fuoco la città. I black bloc. Quelli che nascondono sanpietrini, spranghe e caschi nello zainetto. Quelli che il 14 dicembre di un anno fa hanno scatenato il panico. Ed è questo l'incubo che i commercianti non vogliono rivivere. Le immagini delle vetrine spaccate, i secchioni che volano da un marciapiede a un altro, l'assalto agli uomini della Finanza, i pestaggi, i camion delle forze dell'ordine in fiamme e le colonne di fumo che si alzano sopra i tetti della Capitale sono immagini che loro, rinchiusi dietro una serranda, non dimenticano. In queste ore, loro, i commercianti, stanno decidendo se stavolta vale la pena aprire «bottega» o meno. Molti hanno già deciso: resteranno chiusi. Altri sono dubbiosi. Eppure il richiamo del prefetto Giuseppe Pecoraro è un chiaro appello a tutta la categoria. «I commercianti del centro storico rimangano aperti. Tutte le manifestazioni di ordine pubblico sono imprevedibili e questa è come le altre per cui non abbiamo nessun problema, siamo pronti a fronteggiare qualsiasi tipo di situazione». Ma la paura c'è. E in queste ore i centralini di Confcommercio e Confesercenti sono letteralmente presi d'assalto. «Abbiamo ricevuto decine di chiamate da parte di esercenti allarmati - racconta Valter Giammaria, presidente della Confesercenti di Roma e Lazio - e la domanda è più o meno sempre la stessa: cosa succederà sabato? La polizia potrà garantire la nostra incolumità? Noi rispondiamo di avere fiducia, che i disordini saranno tenuti sotto controllo, ma la paura è tanta e, in fondo, molto comprensibile». Sulla stessa linea la Confcommercio Roma. L'invito da parte del Prefetto a non chiudere sabato arriva proprio all'indirizzo di Giuseppe Roscioli, che comprende e non se la sente di dare indicazioni ai commercianti di non aprire per non rischiare. È raggiunto anche lui da diverse telefonate di suoi colleghi spaventati. Più di una, anche in questo caso, non è affatto rassicurante. Inoltre, intervenendo a Radio Vaticana, Roscioli nei giorni scorsi aveva voluto precisare che «ci sono delle zone della città che andrebbero salvaguardate perché sono patrimonio dell'umanità. Non si possono lasciare in balia di manifestazioni che troppo spesso degenerano in atti di violenza e vandalismo. Noi, quando ci sono queste manifestazioni, siamo sempre in preoccupata attesa per cercare di capire come andrà a finire. Spesso queste proteste iniziano pacifiche e poi finiscono con incendi e lanci di bombe carta ed è inammissibile. Senza contare che dal punto di vista economico il territorio interessato dalla manifestazione subisce una grave perdita, con negozi e uffici chiusi in massa per il timore di subire sanni. Ciò andrebbe evitato anche se credi sia impossibile». Insomma, nonostante Roscioli e Giammaria non lo dicano, il rischio è che sabato decine di saracinesche del centro sorico restino abbassate. O almeno saranno abbassate quelle presenti lungo il percorso degli «indignados», nelle vie dove la protesta rischia di gonfiarsi fino a esplodere. Confesercenti e Confcommercio ribadiscono il loro stop ai cortei in Centro, un appello che puntualmente rivolgono alle istituzioni, ma che fino ad oggi è rimasto inascoltato. Anche lo stesso sindaco Gianni Alemanno in più occasioni, senza però grandi risultati, ha provato a dire no ai percorsi nelle zone museali e dello shopping. Per quanto riguarda i negozianti, fino a oggi è prevalso il senso del dovere e compatti hanno deciso di restare aperti, anche per non buttare al vento una giornata di lavoro (nonostante abbiano pagato più volte e con i propri soldi i danni materiali causati dai professionisti della protesta). Ma stavolta molti di loro sono pronti a dire «no» a un altro sabato pomeriggio ad alto rischio. La serrata è a un passo.