Altri sei bimbi positivi al test
La popolazione di Roma non si deve allarmare per l'epidemia di Tbc del Policlinico Gemelli perché di epidemia si tratta anche se i 115 casi di positività al bacillo riscontrati in questi giorni su 1333 bambini testati, significano che c'è stato un «contatto» e che il piccolo non ha la malattia, cioè una proliferazione del bacillo nell'organismo. «Allerta sì ma non allarme ingiustificato - spiega il prof Fernando Aiuti, immunologo, infettivologo e presidente della Commissione capitolina Politiche Sanitarie - perché l'epidemia è, per ora, circoscritta al Policlinico e non c'è nessun fattore che possa farci sospettare un contagio in altri ospedali, asili nido ecc. Per tranquillizzare maggiormente i romani voglio ricordare che martedì prossimo in Campidoglio la Commissione Politiche Sanitarie e quella delle Politiche Scolastiche sentiranno alcuni esperti di tubercolosi in merito al caso dell'infermiera malata al Gemelli per eventuali provvedimenti profilattici da assumere nelle prossime settimane in continuità con il lavoro iniziato nel giugno 2008 per la prevenzione della infezione tubercolare a Roma». Nell'opinione comune c'era l'idea che la tubercolosi alle nostra latitudini fosse definitivamente scomparsa. Quest'epidemia significa che le cose non stanno più così? «In generale la tubercolosi negli ultimi anni è stata abbastanza stabile, 4500 casi l'anno in Italia. Abbiamo dati aggiornati fino al 2009. Nel Lazio i casi sono circa 400, un po' di più rispetto alle altre regioni per la presenza di molti stranieri e immigrati dalle aree dove la tubercolosi è endemica». Che opinione s'è fatto del caso del Gemelli? «Ci sono alcune anomalie. Si tratta del caso con il più alto numero di bimbi neonati contagiati in ambiente ospedaliero almeno da 50 anni. Inoltre l'epidemia non ha precedenti rispetto alla durata e all'estensione del contagio cioè sette mesi, un tempo infinito se consideriamo che normalmente il contagio avviene in un periodo compreso tra una settimana e un mese e mezzo. Anomalo il lungo periodo intercorso prima che si scoprisse la malattia nell'infermiera. Il fatto che poi la signora in questione sia ancora ricoverata allo Spallanzani ormai dalla fine di luglio mi fa pensare che il suo sia un caso particolarmente grave. Se c'è qualcosa da imputare al policlinico è forse il fatto di avere aspettato tre settimane prima di attivare il programma di controlli e richiamare i bambini in ospedale». Cosa si dovrebbe fare ancora? «Se è vero che ci sono stati contagi anche nei piccoli nati a gennaio, non si sa se agli inizi o alla fine del mese comunque, secondo me bisognerebbe fare i test anche ai bambini nati a dicembre e novembre 2010. E non solo. Il test quantiferon che ha una certezza del 95% non è stato sperimentato sui bimbi al di sotto dei cinque anni. Potrebbe esserci un buon 20% di falsi negativi. Per cui sarebbe necessario riproporre a distanza di qualche mese un controllo, sufficiente il Mantoux, a tutti i negativi». Si sta parlando in questi giorni anche dell'eventualità di ripristinare il controllo periodico con il Mantoux anche per il personale sanitario più a rischio? «Una volta si faceva la tubercolina. Ora a proposito dei controlli periodici del personale ogni ospedale può darsi delle direttive per conto suo. Per quanto riguarda invece le educatrici degli asili nido la decisione di reintrodurre il test spetta alla Regione». I bimbi positivi sono tutti sottoposti a profilassi? «Naturalmente ma non dimentichiamoci che sei mesi di profilassi non sono una passeggiata per nessuno. I piccoli vanno monitorati con l'emocromo e le transaminasi perché ci possono essere casi d'intollerabilità e tossicità». Chi è più a rischio tbc? «I malnutriti e chi ha altre infezioni come Hiv, citomegalovirus. Poi i diabetici chi fa cure di cortisone e immunosoppressori».