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Vaccino obbligatorio e non lo fa nessuno

Incubo tbc a Roma, famiglie in ospedale per i test

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Il caso dell'infermiera del Policlinico Gemelli affetta da tbc riapre la questione dell'obbligatorietà alla vaccinazione antitubercolare, norma presente nelle linee guida del 2009 del ministero della Salute ma che viene completamente ignorata dal nostro personale sanitario. La prassi è desueta perché sembra che i vaccini darebbero una protezione bassa. Spiega il prof Fabrizio Pregliasco dell'Istituto di Virologia dell'Università di Milano che «si preferisce fare controlli periodici in attesa di nuovi vaccini in fase di sperimentazione». C'è da dire pure che nel nostro Paese da parecchio non si sentiva parlare di tbc. Recentemente, invece, con i massicci flussi migratori proveniente dai paesi dell'Est Europa (come la Romania dove la tubercolosi è molto presente) il problema è riemerso. Ne parliamo con un'infermiera del Bambino Gesù di Palidoro che preferisce rimanere anonima. «Dove lavoro io, da tempo facciamo i controlli periodici per la tbc. Da quando, e lo dico senza timore di passare per razzista, in ospedale ci sono tanti bambini rumeni. Nel mio caso il test risulta comunque positivo perché mi sono vaccinata. Come hanno fatto altre colleghe: non siamo sprovvedute. Sappiamo i rischi che si corrono a fare il nostro lavoro». L'allarme tbc fra qualche settimana quando riapriranno le scuole potrebbe creare qualche apprensione in più alle già stressate mamme romane. «Temo che possano esplodere i pregiudizi, con madri che non vogliono bimbi stranieri in classe» dice Foad Aodi, presidente dell'Amsi (Associazione medici di origine straniera in Italia). E i preconcetti potrebbero estendersi nei confronti degli stranieri, a cominciare dai nomadi rom, che s'incontrano sugli autobus e che ti tossiscono in faccia. «Nessun allarme anche perché le possibilità di contrarre la tbc sull'autobus sono davvero irrisorie» spiega Antonietta Spadea, dirigente medico responsabile medicina preventiva dell'età evolutiva IV distretto Roma A e cordinatore dell'équipe che si occupa dei nomadi presenti nei campi rom. Dal 2007 il gruppo della dottoressa Spadea segue tutti gli insediamenti dei nomadi presenti sul territorio della Asl Roma A compreso il Centro di prima accoglienza di Via Salaria, 364 immigrati di cui un centinaio di minori. Come arrivano da voi? «I vigili urbani quando trovano, ad esempio, una famigliola sotto i ponti li prendono e li accompagnano nel centro di accoglienza dove trovano un tetto, i pasti ecc. L'accoglienza è momentanea perché poi dovrebbero essere trovati altri alloggi. Però in molti vi soggiornano da diversi mesi. Finora abbiamo notificato un solo caso di tubercolosi e di conseguenza abbiamo seguito la chemioprofilassi a tutte le persone che erano state a contatto con questo ragazzo trentenne. Facciamo regolarmente accertamenti e quando riscontriamo positività, che non significa malattia, scattano le procedure di controllo». Avete anche un piano di vaccinazione per i minori? «È un progetto pilota che ha funzionato e che verrà esportato anche nelle altre Asl. Siamo riusciti a fermare tempestivamente varie epidemie di morbillo nei campi nomadi. Grazie all'introduzione della "vaccination day" (andiamo qualche giorno prima a spiegare di che si tratta) siamo riusciti a fargli superare i traumi legati a un intervento di vaccinazione di massa coercitivo. E si badi che il morbillo è molto più contagioso della tbc. Abbiamo portato a termine anche un piano di vaccinazione contro il meningococco che è gratuito per i bimbi rom dai 0 a 5 anni dei campi autorizzati. I rom accettano volentieri che i loro figli siano vaccinati perché hanno in fiducia in noi. Il problema è avvicinare i fluttuanti ma con il passaparola anche loro prima o poi vengono a farsi vaccinare».

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