Uccise il prestanome. Arrestato albanese in fuga nel Tevere
Una lite degenerata per una questione di soldi tra la vittima e un gruppo di albanesi. Alla fine i carabinieri hanno spiegato così l'omicidio di Tor Vergata di Massimiliano Cicolani, 38 anni. Hanno ricostruito il movente e arrestato l'altro ieri due persone (una per droga), continuando a dare la caccia degli altri (forse cinque) del resto del branco. Lo storia di Cicolani era apparsa subito strana. Lui era uscito di casa la sera del 3 maggio scorso dicendo che andava a prendere le sigarette. Poche ore dopo era stato soccorso in via di Tor Vergata malridotto a botte e sprangate da circa sette persone che gli avevano rubato giubbino, portafogli e cellulare. Era stato ricoverato in un letto del vicino policlinico dal quale ripeteva che era stato investito da un'auto pirata. E infine è deceduto il 17 giugno per le brutte lesioni subite. L'altro ieri i carabinieri del Nucleo investigativo di via In Selci hanno catturato il primo del gruppo di presunti assassini. Si tratta dell'albanese Mariglen Ndoj, 28 anni, pregiudicato per aggressione e furto, clandestino, preso a Grottaperfetta dopo una spettacolare fuga cominciata alla discoteca Bombardier, alla Magliana, dove faceva il buttafuori in nero, proseguita a nuoto nel Tevere e finita nella zona a ridosso della Cristoforo Colombo. Assieme a lui i militari hanno denunciato un connazionale che ha cercato di aiutarlo a evitare l'arresto, e hanno ammanettato anche un paraguajano - Hisashi Kawano, 50 anni - accusato di traffico internazionale di droga: aveva nell'intestino sei etti di cocaina liquida contenuta in 170 ovuli ingoiati in Sudamerica da dove è partito pochi giorni fa dal Brasile, facendo scalo a Parigi decollando per la capitale. In queste indagini niente è stato semplice. Quand'era ancora ricoverato al policlinico, Cicolani non ha fornito alcuna indicazione sui suoi aggressori e le testimonianze di alcuni residenti da sole non bastavano a stringere il cerchio. Gli investigatori sono arrivati all'albanese verificando telefonate e frequentazioni di Cicolani. I cellulari erano intestati ad altre persone che "prestavano" la loro identità per nascondere quella di chi voleva sfuggire ad eventuali controlli. E pare che fosse proprio l'attività che la vittima svolgeva per conto del suo carnefice. Un lavoro da prestanome per il quale Cicolani forse doveva essere pagato e per questo i soldi potrebbero essere alla base della lite degenerata in omicidio.