Centomila euro a settimana era il giro d'affari
Tuttodenaro accumulato svolgendo una delle attività criminali più difficili da estirpare e più dannose per le tasche dei cittadini: l'usura. Un'intera famiglia, infatti, gestiva la movimentazione di denaro. A capo dell'organizzazione, a livello «familiare», c'era Giuseppe De Tomasi, negli anni Settanta affiliato alla Banda della Magliana. Lui, insieme con i parenti, avevano tra i clienti medici, imprenditori, commercianti, attori, poliziotti e carabinieri. Ognuno, però, finiva nelle maglie dei criminali per motivi differenti: molti arrivavano alla famiglia De Tomasi attraverso il passaparola quando avevano bisogno di denaro, altri, invece, si rivolgevano agli usurai perché indebitati dal gioco d'azzardo. E la maggior parte dei clienti vip che chiedevano un aiuto economico ai presunti «cravattari» erano personaggi dell'alta borghesia. Nell'operazione, denominata «La luna nel pozzo», coordinata dal procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo, che ha diretto gli uomini della Squadra mobile insieme a Vittorio Rizzi, sono state effettuate molte perquisizioni in abitazioni, ristoranti e sale da gioco. Durante l'attività giudiziaria, gli investigatori hanno trovato nelle sale giochi alcune delle vittime dell'usura: il tasso applicato ai «clienti» della famiglia De Tomasi era del 5 per cento. I sigilli sono stati messi, tra l'altro, a tre case da gioco, a dieci immobili (tutti riconducibili alla famiglia) vetture, società e conti correnti. «Le vittime in ogni caso subivano di continuo intimidazioni - ha spiegato il procuratore Capaldo - chi era ridotto allo stremo si vedeva costretto a cedere la propria attività. Il nome di De Tomasi bastava per mettere in soggezione chiunque e il fatto che "Sergione" fosse legato in qualche modo alla Magliana costituiva un ulteriore motivo per intimorire le vittime». Quando gli investigatori sono arrivati in casa per notificargli l'ordinanza di custodia cautelare, De Tomasi era seduto su una poltrona. Quando è stato il momento di spostarsi, ha chiesto agli agenti di poter portare con sé il cuscino. Insospettiti, i poliziotti lo hanno aperto e hanno scoperto 30 mila euro tra contanti e assegni. «Sergione», infine, secondo quanto riferito dagli inquirenti, conosceva Roberto Simmi, padre di Flavio, ucciso in Prati con nove colpi di pistola.