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Evasione da 600 milioni. Caccia a talpe in divisa

Il presidente di Confcommercio Roma Cesare Pambianchi

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Come è possibile portare all'estero centinaia e centinaia di società senza beneficiare di coperture? E soprattutto, come è possibile che un modus operandi del genere sia andato avanti per molto tempo senza che nessuno presentasse denuncia o segnalasse sospetti movimenti bancari o trasferimenti di aziende dall'Italia alla Bulgaria? A queste due domande stanno cercando di dare una risposta gli inquirenti della procura che indagano sulla presunta associazione a delinquere che avrebbe fatto capo al presidente di Confcommercio Roma Cesare Pambianchi, rinchiuso nel carcere di Regina Coeli. Il procuratore aggiunto Alberto Caperna, che ha delegato le indagini alla Guardia di Finanza, sta cercando di verificare se gli indagati (in 46 sono stati raggiunti da misure cautelari ndr.) abbiano beneficiato della copertura di funzionari «infedeli» all'interno della pubblica amministrazione e di uomini appartenenti alle forze dell'ordine. Il motivo? Secondo i pm gestire 703 società, di cui 292 trasferite all'estero per evitare, in base ai magistrati, di finire sotto inchiesta per bancarotta fraudolenta, era necessario «l'appoggio» di persone che lavoravano all'interno di uffici pubblici e di forze dell'ordine. Tutto ruota intorno a una presunta maxievasione da 600 milioni di euro, frutto di un «sistema» preciso che partiva dalla gestione di centinaia di società - tutte avviate al fallimento - per evitare il pagamento di debiti con il Fisco. Un piano perfettamente (o quasi) collaudato che, secondo gli inquirenti, difficilmente avrebbe potuto essere realizzato e andare avanti per dieci anni senza «coperture» di alcun tipo. Per ora i magistrati romani contestano, a seconda delle posizioni processuali, i reati di associazione per delinquere, bancarotta fraudolenta, riciclaggio, reati tributari, sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte e appropriazione indebita. Negli atti depositati al Riesame, sui quali si è basata l'ordinanza del gip Giovanni De Donato, c'è una serie di intercettazioni di una dipendente dello studio Mazzieri & Pambianchi, Ines Aschi, che secondo la procura farebbero capire come si muovevano gli indagati. Aschi per lo studio, che era ai Parioli, «si occupa della gestione dei conti di Carlo Mazzieri in Imprebanca», l'istituto di credito di cui è presidente proprio Pambianchi. «Aschi, stretta collaboratrice di Mazzieri, dipendente della Minor srl - si legge nell'ordinanza di custodia cautelare - articolazione dello studio Pambianchi-Mazzieri, fornisce il proprio stabile apporto mediante la gestione diretta di alcuni affari illeciti, l'esecuzione di movimentazioni bancarie unitamente a Celli e Colansanti, tiene i rapporti con l'associato Adami, fornisce un contributo alla logistica dell'organizzazione (reperimento schede Sim, gestione prima nota e assegni in cassa realativi alla contabilità occulta dello studio professionale». L'8 luglio 2010, si legge sempre nel provvedimento cauterare, è lei che chiama una certa Marianna, dipendente di Imprebanca, e «le chiede informazioni su come concludere delle operazioni bancarie, evitando la segnalazione antiriciclaggio. "Se io - chiede Aschi all'interlocutrice - vi mando, domanda tecnica eh, due assegni da 4.900 euro ciascuno quindi non mi superano 5.000 ognuno, me lo...me lo mandi in segnalazione?"». Intanto giovedì il Riesame deciderà sulla sorte di Pambianchi, di Mazzieri e delle altre persone coinvolte nell'inchiesta.

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