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Il patrimonio Atac verrà venduto No al fondo privato

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Dopolo scandalo «parentopoli», ora il Comune corre ai ripari per risanare il debito di circa 350 milioni che grava sul destino dell'azienda. Nell'ultimo mese l'assemblea capitolina è stata impegnata in un tira e molla di sedute nelle quali venivano messe in calendario e poi accantonate le delibere 30 e 35. In pratica, Atac ha un piccolo tesoro immobiliare, stimato sui 600 milioni di euro, strutture non più utili alla fornitura di servizi che con la delibera numero 30 sono tornati a far parte del suo patrimonio. Ma ciò non bastava. C'è stato bisogna della contestatissima delibera numero 35 per stabilire i criteri di valorizzazione e alienazione degli immobili stessi: una parte di essi è già vendibile, come prevede il piano regolatore. Per gli altri, invece, servono singoli accordi di programma e varianti urbanistiche. Il nodo del contendere, che ha comportato la presentazione di circa 7 mila emendamenti, è stata la costituzione di un fondo privato, previsto in delibera, che avrebbe portato alla monetizzazione immediata del patrimonio, che sarebbe quindi arrivata prima della valorizzazione, «svendendolo» secondo l'opposizione. Durante la discussione di venerdì, però, è stato approvato un emendamento che ha fatto trovare un equilibrio portando, quasi all'alba, un voto favorevole per la delibera e l'eliminazione del fondo. Il sindaco Alemanno ha definito «le due delibere importantissime per il risanamento di Atac» che consentono al cda di Atac di procedere all'approvazione del piano industriale «risanando un debito strutturale che si trascina da una decina di anni. L'opposizione ha dovuto comprendere che era necessario non solo conferire ad Atac il patrimonio inutilizzato ma anche procedere a un'immediata valorizzazione». Contenti anche gli assessori Lamanda e Aurigemma, mentre il Pd si dice soddisfatto perché «si rischiava di regalare il patrimonio di Atac ai privati in assenza di controllo sulle procedure di alienazione».

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